Le Banche centrali dietro il capitalismo “dirigista” e il disimpegno dei politici

Marco Valerio Lo Prete

Le sfide delle tre principali economie avanzate – Eurozona, Giappone e Stati Uniti – sono “diverse tra loro, ma in tutte e tre le regioni c’è una costante: un’infinita attenzione dei media, degli analisti e degli investitori sul sentiero dorato che conduce alle Banche centrali.

Roma. Le sfide delle tre principali economie avanzate – Eurozona, Giappone e Stati Uniti – sono “diverse tra loro, ma in tutte e tre le regioni c’è una costante: un’infinita attenzione dei media, degli analisti e degli investitori sul sentiero dorato che conduce alle Banche centrali. Il Quantitative easing della Banca centrale europea avrà un impatto significativo? Come procederà la Bank of Japan? La Federal reserve quando deciderà di alzare i tassi di riferimento?”. Lo ha scritto sul Wall Street Journal Robert E. Rubin, segretario al Tesoro degli Stati Uniti dal ’95 al ’99 (Amministrazione Clinton), che poi ha messo in guardia: “La politica monetaria è importante, ma non onnipotente”.

 

Giorgio Arfaras, analista e dirigente del Centro Einaudi, concorda con il monito e aggiunge: “Un’economia globale così fortemente puntellata dalle Banche centrali dipende da scelte di un manipolo di persone, è un’economia più dirigista, non c’è che dire. In questi anni abbiamo assistito perciò a un indebolimento del capitalismo, ma tale indebolimento ha salvato il capitalismo stesso”. Il ragionamento si fonda su un’analisi dell’andamento di azioni e titoli di stato. “In condizioni normali, il mercato finanziario punisce le società malgestite, rendendone più difficile il finanziamento e spingendole all’efficientamento o alla chiusura. Tuttavia in questa fase le Banche centrali incentivano ad acquistare azioni sempre e comunque, dunque il sistema nel complesso rimane in piedi anche a costo di perdere efficienza”. All’origine del boom borsistico c’è proprio la nuova condotta “non convenzionale” delle Banche centrali. La persistente discesa dei rendimenti delle obbligazioni acquistate dagli Istituti centrali (ieri il rendimento del Btp decennale italiano è arrivato a 1,45 per cento, lo spread con il Bund tedesco ha chiuso a 112 mentre sfiorava i 600 punti all’apice della crisi finanziaria nel 2011), “rende di conseguenza più interessanti le azioni – dice Arfaras – non tanto per la loro valutazione intrinseca, ma perché sono più redditizie delle obbligazioni”.

 

[**Video_box_2**]Ecco spiegati i picchi record raggiunti in queste ore dalle Borse americana e inglese. Perfino la solitamente anemica Piazza Affari fa segnare più 7 per cento rispetto a un anno fa. Per dare un’idea di quanto sia imponente lo spostamento in corso, Arfaras cita alcuni dati elaborati da Bank Credit Analyst sul “rastrellamento” di obbligazioni in corso da parte delle Banche centrali: “Dal 2010 a oggi lo stock di obbligazioni americane, europee e giapponesi a disposizione del mercato si è ridotto da oltre 1.500 miliardi di dollari a poche centinaia nel 2014. Nei prossimi due anni, simulando l’inattività della Banca centrale statunitense, l’attivismo di quella giapponese e di quella europea, emerge che le obbligazioni a disposizione del mercato si ridurranno ancora”. Se l’offerta di titoli di stato si riduce e la domanda è invariata, “allora il prezzo delle obbligazioni dovrebbe salire oppure rimanere quasi immoto. In altre parole i rendimenti dovrebbero rimanere molto compressi”. Il Qe ha fornito una stampella all’economia, dice Arfaras: “Ma se politiche simili anni fa erano terra incognita, il problema è che ci muoveremo in terra incognita pure al momento di lasciarci alle spalle queste politiche”. Unica magra consolazione: toccherà alla Fed, prima che alla Bce, districarsi dalla situazione, sgonfiando così i listini azionari: “Ma l’esperienza storica – conclude Arfaras – dice che non c’è mai stata flessione significativa della Borsa americana che non abbia coinvolto le Borse europee”. Per allora, sostiene l’ex segretario al Tesoro Rubin, sarà bene che i governi – oggi vittime di un “azzardo morale di tipo politico” – si facciano trovare pronti.

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