Michèle Flournoy

Fidarsi di Michèle

Paola Peduzzi

Tra i sostenitori di una svolta in Ucraina c’è la Flournoy, una delle poche che sa parlare a Obama.

Milano. Il documento firmato dai sostenitori di una svolta nel sostegno all’Ucraina – dare le armi – è breve e preciso, in dodici pagine mette a fuoco problemi, rischi e obiettivi, propone una soluzione (con il suo prezzo scritto a fianco, si sa che la Casa Bianca è sensibile ai costi), spiega perché non ci sono molte alternative. Tra gli autori c’è Michèle Flournoy, fondatrice nel 2007 di un think tank piccolo e influente, il Center for a New American Security, considerata una delle massime esperte di sicurezza nazionale in America (è stata la donna più alto in grado mai vista al Pentagono, prima di dimettersi nel 2012): questo paper le assomiglia molto, con quel tono chiaro e pragmatico che, si dice, sia l’unico ormai accettato dall’entourage obamiano. Per questo la Flournoy, clintoniana prima obamiana poi, è stata spesso citata, nelle cariche legate alla Difesa, come “la migliore scelta per la successione di”, mettete voi il nome che volete, da David Petraeus a Chuck Hagel, nomina che poi non è mai arrivata, ma ora c’è già nell’aria per lei un’altra missione: potrebbe diventare il capo del Pentagono se Hillary Clinton dovesse vincere le elezioni presidenziali del 2016. Siamo in area fantapolitica, ma restando all’oggi i beninformati dicono che la Flournoy sia rimasta una delle poche ad avere un buon rapporto con Barack Obama, pur non essendo del suo “inner circle”, “riesce a essere in disaccordo senza creare inimicizie”, ha detto di lei una fonte citata dal Washington Times, ed è così che ci si conquista la fiducia del presidente.

 

Jackson Diehl sul Washington Post segnala che un documento di questo tipo sulla strategia di Obama nei confronti dell’Ucraina – c’è scritto che Washington non ha dedicato sufficiente attenzione alla minaccia posta dalla Russia e alle conseguenze sulla sicurezza occidentale, e questo “deve cambiare” – firmato da una come la Flournoy è il sintomo di una guerra all’interno dei democratici sulla politica estera della Casa Bianca. Di scontri ne abbiamo già visti parecchi, dall’Afghanistan alle armi ai ribelli siriani fino a quello sul destino del dittatore di Damasco, Bashar el Assad (il quale resterà dov’è, ormai ne è certo anche lui, e infatti bombarda il suo popolo con sempre più ferocia), e ora c’è quello nei confronti della Russia.

 

[**Video_box_2**]Quando fece il suo debutto al primo mandato di Obama come sottosegretario al Pentagono con delega alla politica militare, la Flournoy era etichettata come “neocon”, perché aveva firmato un documento sponsorizzato dal neoconservatore Project for the New American Century, ormai defunto, per chiedere al Congresso di “aumentare in modo sostanziale le dimensioni dell’esercito”: lei e il suo think tank spingevano per una politica estera “forte, pragmatica e morale”. Dello slancio iniziale è rimasto, più che la forza o la morale, molto pragmatismo, ma come aveva detto la Flournoy al Foglio (intervistata da Mattia Ferraresi nel settembre del 2012), “il pragmatismo non è senza princìpi”. I suoi comprendono un esercito non ridotto all’osso dai tagli del budget, ma in grado di far giocare all’America il ruolo di leadership che le compete, e che è indispensabile per l’ordine mondiale; una maggiore cautela nei ritiri, quello in Iraq ha già mostrato le sue debolezze, quello in Afghanistan rischia di diventare altrettanto pericoloso; una maggiore determinazione nel sostenere i proprio alleati – compresi i ribelli siriani. Nel 2003, la Flournoy scrisse un piccolo e bel saggio assieme ad altri esperti dal titolo “Progressive Internationalism: A Democratic National Security Strategy” in cui spiegava come l’interventismo americano fosse una strategia di sinistra (questo spiega anche il suo successo nel mondo neoconservatore). C’era scritto: “Come nella Guerra fredda, la minaccia che affrontiamo oggi è destinata a durare non anni, ma decenni”. Parlava della guerra al terrore, oggi ancora in corso, e si riferiva a quella guerra fredda che aleggia da almeno un anno sull’occidente, con la crisi ucraina. Il rischio è così alto che la Flournoy con i suoi coautori di oggi starebbe convincendo persino Susan Rice, capo della Sicurezza nazionale, anche lei considerata un “falco democratico”, diventata poi in questi anni la regina del calcolo e della cautela, in perfetto stile obamiano.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi