Membri della setta Houthi in processione durante il funerale di un combattente a Sanaa (foto LaPresse)

Perché c'è una crisi in Yemen

Luca Gambardella

Dopo il "quasi golpe" del 19 gennaio scorso il paese resta in un vuoto di potere dopo le dimissioni del presidente e del premier. La minoranza sciita degli Houthi chiede una revisione della Costituzione mentre resta l'ombra di al Qaeda. Ecco tutto quello che c'è da sapere su quanto è successo nel paese.

Lo scorso 19 gennaio in Yemen, paese a maggioranza sunnita, i ribelli della setta sciita Houthi hanno preso il controllo del palazzo presidenziale e della tv di stato. Si è trattato di un "quasi golpe" perché non è stato imposto un cambio di potere. Si è trattato piuttosto di un modo per costringere le autorità sunnite  a modificare la costituzione tenendo conto anche delle istanze della minoranza sciita. Il governo di Sanaa e i ribelli hanno raggiunto una tregua, ma dopo appena due giorni sia il presidente, Abed Rabbo Mansour Hadi, sia il premier, Khaled Bahah, si sono dimessi lasciando un pericoloso vuoto di potere.


Un combattente Houthi a Sanaa


Chi sono gli Houthi

 

Si tratta di una delle più antiche sette sciite stanziate nel nord del paese e di cui fa parte circa il 40 per cento dei musulmani yemeniti. Prima ancora di diventare un'entità politica, gli Houthi erano un'associazione (gli Shabab al Mumin, "I giovani credenti") che rappresentava e difendeva la propria identità religiosa. La svolta è arrivata nel 2004, quando gli Houthi si sono uniti alle prime proteste contro il presidente Ali Abdallah Saleh contestando la sua collaborazione con gli Stati Uniti diventando un gruppo militarizzato.

 


Una mappa che mostra le zone di influenza degli Houthi e quelle di al Qaeda


Cosa vogliono

 

In Yemen non è in corso una guerra settaria. Piuttosto si tratta di un conflitto che ha motivi politici. Gli Houthi contestano al governo la mancata implementazione di una risoluzione delle Nazioni Unite che tracciava una roadmap per la formazione di un governo di unità nazionale che doveva approvare delle riforme costituzionali. Il progetto di riforma costituzionale dell'ormai ex presidente Hadi prevedeva la divisione del paese in sei stati federali: un'ipotesi non gradita ai ribelli che invece volevano una divisione tra nord (sciita) e sud (sunnita). Gli Houthi chiedevano inoltre che le proprie milizie venissero integrate nell'esercito nazionale, un'opzione che il presidente Hadi rifiutava.

 


Abdulmalik al Houthi, un leader degli Houthi durante il suo discorso alla tv in cui spiega i motivi dell'occupazione del palazzo presidenziale di Sanaa, lo scorso 19 gennaio


Chi appoggia i ribelli?

 

Esistono due versioni su chi sia il principale sponsor degli Houthi. La prima è che sia l'Iran. Per diverse ragioni, prima fra tutte quella dell'affinità religiosa (sono entrambi sciiti), ma anche perché Teheran è in competizione con l'Arabia Saudita, da sempre schierata con i paesi a maggioranza sunnita della regione, tra cui lo Yemen. Secondo altri, però, il vero alleato degli Houthi sarebbe l'ex presidente Saleh, spodestato nel 2011 durante la primavera araba. Saleh ha ancora una forte influenza nel paese e, soprattutto, nelle forze armate.

 


L'ex presidente dello Yemen, Ali Abdallah Saleh


Rischio terrorismo

 

Gli Houthi non hanno legami con i gruppi terroristici in Yemen e potrebbero piuttosto rivelarsi dei validi alleati contro al Qaeda e lo Stato islamico. Allo stesso tempo però, si tratta di una minoranza violenta, capace di prendere il controllo della capitale con la forza e che ha spesso perseguitato i non aderenti alla propria setta. Il "quasi colpo di stato" degli Houthi potrebbe favorire i combattenti jihadisti, primi fra tutti al Qaeda nella penisola araba (Aqap, quella che ha rivendicato gli attacchi a Parigi contro Charlie Hebdo). I jihadisti potrebbero così approfittare del caos che deriverebbe da una reazione violenta dell'esercito yemenita per raccogliere nuove reclute e armamenti (sul modello di quanto già successo in Siria),

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.