Nessun “diritto” all'utero in affitto

Redazione

Con sentenza non definitiva, la Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato l’Italia a pagare i danni a una coppia alla quale nel 2013 aveva tolto, per darlo in adozione, un bambino di nove mesi, che la coppia aveva cercato di iscrivere allo stato civile come proprio figlio, ma che in realtà era nato in Russia grazie alla pratica, vietata in Italia, dell’utero in affitto.

Con sentenza non definitiva, la Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato l’Italia a pagare i danni a una coppia alla quale nel 2013 aveva tolto, per darlo in adozione, un bambino di nove mesi, che la coppia aveva cercato di iscrivere allo stato civile come proprio figlio, ma che in realtà era nato in Russia grazie alla pratica, vietata in Italia, dell’utero in affitto. C’è chi  si è affrettato ad annunciare che da Strasburgo arriva la ratifica di un “diritto a utilizzare una madre surrogata”. Non è così.

 

A leggere la sentenza, scopriamo che non vi si riconosce affatto un diritto a usare l’utero in affitto da parte di chi vuole aggirare il divieto nel proprio paese, né si riconosce valore al contratto stipulato tra la “fornitrice” di utero russa e la coppia italiana. Si afferma invece che il “superiore interesse del bambino”, che viveva già da nove mesi con i genitori putativi, era di rimanere con loro, che pure non hanno alcun legame biologico con lui. Non si giustificherebbe, a cose fatte, la “misura estrema” del suo allontanamento da quel nucleo: in quest’ultima circostanza si ravvisa l’indebita “ingerenza nella vita famigliare”, per la quale l’Italia dovrà pagare alla coppia ventimila euro. La sentenza aggiunge però che, sempre  in nome della tutela del prevalente interesse del minore, non esiste alcun obbligo di restituire il bambino alla coppia, perché il piccolo avrà nel frattempo “certamente sviluppato legami affettivi con la famiglia adottiva”. Questo per quanto riguarda le questioni di diritto. Sul resto – la deriva mercificante che porta a considerare “diritto” comprare un bambino – parlano i fatti, prima ancora delle sentenze.