Il premier giapponese Shinzo Abe in visita all'ambasciata francese dopo l'attentato a Charlie Hebdo (foto LaPresse)

Papà Le Pen avverte il Giappone: non fate il nostro stesso errore

Giulia Pompili

In Giappone la Francia è considerata il simbolo dell’Europa, la massima espressione dei princìpi che riguardano la libertà, l’uguaglianza e la democrazia e, nel corso degli anni, per i giapponesi, è diventata l’ideale di democrazia non snaturata del sentimento nazionalista ancora vivo nelle coscienze nipponiche.

Roma. “Un terrorismo crudele come questo non può essere tollerato per nessuna ragione e lo condanno fermamente. Il Giappone è con la Francia in questo momento difficile”, ha scritto il primo ministro di Tokyo, Shinzo Abe, al presidente François Hollande dopo la sparatoria al Charlie Hebdo. Ma quello di Abe non era solo un messaggio di condoglianze. Non c’è da stupirsi dell’attenzione di Tokyo sui fatti francesi, infatti, soprattutto da parte del governo guidato dal centrodestra. Anzitutto c’è un fattore culturale: in Giappone la Francia è considerata il simbolo dell’Europa, la massima espressione dei princìpi che riguardano la libertà, l’uguaglianza e la democrazia – parole che nella tradizione culturale e religiosa nipponica hanno un significato vago, e alle quali i giapponesi hanno iniziato a dare forma soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale. Nel corso degli anni, per i giapponesi, la Francia è diventata l’ideale di democrazia non snaturata del sentimento nazionalista ancora vivo nelle coscienze nipponiche. Nella letteratura psichiatrica giapponese (anche se qualcuno parla di letteratura e basta) esisterebbe una patologia che si chiama “sindrome di Parigi”. Una sorta di disturbo post traumatico da stress generato dalla differenza tra quello che il turista giapponese si aspettava dalla capitale francese e quello che poi, realmente, ha trovato.

 

Due giorni prima dell’attacco terroristico in Francia, sul quindicinale della destra giapponese, Sapio, è apparsa una pagina firmata dall’ottantaquattrenne Jean-Marie Le Pen, padre del Fronte nazionale dall’anno della sua fondazione nel 1972 fino al 2011, quando ha lasciato il posto a sua figlia Marine. Nell’editoriale, riportato dal Japan Today, Le Pen avverte il Giappone sul possibile cambio delle politiche sull’immigrazione annunciato da Abe nella sua politica di crescita economica. Tokyo non deve fare lo stesso errore della Francia, dice Le Pen, cercando di reagire alla bassa natalità, all’invecchiamento della popolazione e alla progressiva diminuzione di forza lavoro aprendo le frontiere. Per il padre del Front national sarebbe un errore blu, un modo semplicistico di risolvere un problema che invece va affrontato con una politica sistematica volta ad aiutare i giapponesi ad avere più figli. Inoltre alleggerire le regole sull’immigrazione rischia di far iniziare, anche in Giappone, quel processo di islamizzazione che per Le Pen in Francia è ormai inarrestabile. Il consiglio al Giappone del politico francese aiuta a comprendere il rischio di “europeizzazione” del Pacifico, ovvero l’esportazione di un modello culturale difficile da interpretare in Asia. Tokyo da anni fa i conti con i radicalismi legati al nazionalismo e a peculiari fenomeni religiosi e settari – non a caso gli unici attentati terroristici subiti dal Giappone sul proprio suolo sono stati quelli dell’Armata rossa giapponese e quello con il gas sarin alla metro di Tokyo, nel 1995, della setta religiosa Aum Shinrikyo. La Soka Gakkai, movimento religioso di ispirazione buddista, è attualmente al governo di Tokyo nella forma del Partito Komeito, ma in vari paesi europei è inserita nelle liste delle sette religiose sotto osservazione dalle forze dell’ordine. In alcuni paesi asiatici il processo di globalizzazione invece è appena iniziato. E’ il caso del sorprendente risultato delle elezioni in Sri Lanka, dove Maithripala Sirisena ha vinto sulla “dittatura soft” di Rajapaksa promettendo democrazia e apertura ai paesi vicini – vincendo con i voti dei tamil e dei musulmani. E poi c’è la nuova Indonesia di Jokowi, che nel paese più islamico al mondo è riuscito a piazzare nel suo governo una donna e un cattolico. C’è l’India di Narendra Modi. Tutti outsider che non provengono dalle élite militari e politiche, e che promettono di avvicinarsi al modello di scambio multiculturale occidentale. Un modello, parafrasando Le Pen, non sempre vincente.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.