Kenji Goto fotografato mentre lavorava in Siria

Che cosa succede con gli ostaggi giapponesi nelle mani dello Stato islamico

Giulia Pompili

La madre del giornalista rapito in Siria chiede 'scusa'. L'ultimatum per pagare il riscatto è scaduto e Tokyo starebbe considerando delle modifiche interpretative all'articolo della Costituzione che vieta l’uso offensivo dell’esercito nipponico.

“Il mio nome è Junko Ishido. Sono la madre del giornalista Kenji Goto”. Poco prima che l’ultimatum dello Stato islamico scadesse, la madre di uno dei due giapponesi rapiti in Siria ha tenuto una conferenza stampa. “Mi scuso profondamente con il popolo giapponese e il governo giapponese, con le persone degli altri paesi, per i problemi che sta causando Kenji.  Sono stata colpita da questo dolore e sono in lacrime da tre giorni. E’ impossibile da raccontare. Kenji, anche da piccolo, era un bambino amorevole. Diceva sempre di voler ‘salvare le vite dei bambini nelle zone di guerra’. Era giusto nel raccontare la guerra. Al popolo dello Stato islamico: Kenji non è un nemico dello Stato islamico. Per favore, rilasciatelo”. Chiedere scusa, in Giappone, fa parte dell’etichetta. Ci sono molti modi di esprimere le proprie scuse, ma il significato è profondamente diverso da quello occidentale. In Giappone, come in molti altri paesi asiatici, chiedere scusa non presuppone una colpa, ma il proprio dispiacere per una condizione da cui sarà difficile uscire.

 

Dopo aver espresso le proprie scuse, la signora Ishido ha proseguito: “Il Giappone si è impegnato a non combattere mai più una guerra attraverso l’articolo 9 della sua Costituzione. Il nostro paese non è in guerra da almeno settant’anni. Il Giappone non è un nemico dei paesi islamici, e con loro ha relazioni amichevoli. Il Giappone è l’unico paese che ha subito un bombardamento atomico. Diecimila persona sono morte a Hiroshima e Nagasaki quando gli Stati Uniti sganciarono le bombe. Ci rimane così poco tempo. Al governo giapponese: per favore, salvate la vita di Kenji”.

 

Nel pomeriggio di venerdì, almeno seicento musulmani si sono riuniti nella più grande moschea di Tokyo (Tokyo Camii) per pregare per la liberazione dei due ostaggi. Un leader religioso mandato dal governo turco ha tenuto un sermone su “la dignità della vita”: “I princìpi islamici non tollerano la persecuzione e la violenza. Uccidere una persona senza una ragione è come uccidere l’umanità intera”, riporta l’Asahi Shimbun. Almeno due leader religiosi musulmani in Giappone hanno chiesto al governo di poter andare a trattare la liberazione degli ostaggi con i terroristi. Compreso Ko Nakata, visiting professor all’Università Doshisha di Kyoto, citato nelle cronache giapponesi nell’ottobre scorso per aver mediato con lo Stato islamico il reclutamento di uno studente della Hokkaido University (qui una sua intervista del 2010, che spiega bene i rapporti tra Giappone e islam, segnalata da Marco Zappa).

 

La scorsa settimana il primo ministro Shinzo Abe aveva iniziato il suo viaggio di stato in medio oriente dalla Giordania – un viaggio importante, perché il Giappone senza nucleare ha sempre più bisogno di petrolio. Abe era stato poi in Egitto, dove aveva annunciato lo stanziamento di duecento milioni di dollari di aiuti non-militari per la lotta allo Stato islamico in medio oriente – un contributo che, secondo l’Economist, sarebbe determinante per rinsaldare la collaborazione con gli Stati Uniti. Mentre Abe si trovava a Gerusalemme, lo Stato islamico ha diffuso un video in cui minacciava l’uccisione di due cittadini giapponesi, il quarantasettenne giornalista freelance Kenji Goto e il quarantaduenne Haruna Yukawa, capo di una “agenzia militare privata” e nome noto ai media giapponesi. Nel video i due giapponesi indossano le tute arancioni. In mezzo a loro l’uomo incappucciato parla di un riscatto di duecento milioni di dollari – “gli stessi che Tokyo vuole usare per uccidere le nostre donne e i nostri bambini” – e di un ultimatum di 72 ore.

 

[**Video_box_2**]Goto e Yukawa si conoscevano dallo scorso anno. Si erano incontrati in Siria. Goto, cristiano protestante battezzato nel 1997, collaborava con molte testate nazionali, compresa la Nhk, ed è uno stimato ed esperto freelance di guerra. Yukawa ha un passato più doloroso, secondo alcune fonti stava lavorando in Siria come contractor. Un video diffuso dallo Stato islamico lo scorso agosto riprendeva la sua cattura. Alla fine di ottobre, Goto avrebbe lasciato di nuovo il Giappone per la Siria, attraverso la Turchia, nel tentativo di trovare Yukawa: “Qualsiasi cosa succederà, sarà mia responsabilità”, avrebbe detto in un ultimo video registrato vicino Raqqa, poi non ha dato più sue notizie.

 

Yoshihide Suga, il portavoce del governo Abe, ha confermato l’identità dei due ostaggi nonostante il video presenti alcuni difetti di fattura. Yasuhide Nakayama, il viceministro degli Esteri di Tokyo, è da due giorni ad Amman, in Giordania, per gestire la liberazione. Durante una riunione dell’unita di crisi, poche ore fa, il governo giapponese avrebbe valutato l’ipotesi di un attacco militare contro lo Stato islamico. Ma secondo quanto appreso da Reuters, le modifiche interpretative introdotte da Abe all’articolo 9 della Costituzione giapponese (quello che vieta l’uso offensivo dell’esercito nipponico) non consentirebbero al Giappone di usare la forza contro il fondamentalismo islamico, a meno che non ci fosse un attacco diretto sul suolo giapponese.

 

Subito dopo la richiesta di riscatto da parte dello Stato islamico, alcuni osservatori di cose giapponesi hanno ricordato il tragico evento del 1977 (il Dhaka incident). Un gruppo di cinque terroristi dell’Armata rossa giapponese dirottò un aereo della Japan Airlines da Mumbai a Dhaka, in Bangladesh. Chiese sei milioni di dollari e la liberazione di sei terroristi in carcere in Giappone. L’allora primo ministro Takeo Fukuda decise di acconsentire alle richieste. Come fa notare Michael Thomas Cucek al Foglio, nel suo libro pubblicato nel 2013 Shinzo Abe condannò la resa di Tokyo ai terroristi, collegando direttamente il Dahaka incident con la mancata liberazione dei giapponesi rapiti dai nordcoreani durante gli anni Settanta.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.