L’evoluzione dei poster celebrativi dei gruppi jihadisti diffusi su internet durante e dopo gli attacchi a Parigi

L'Islam moderato non basta

Salvatore Merlo

Per Ezio Mauro l’occidente è più forte del jihadismo. “Ma i musulmani devono laicizzarsi come noi”. Il direttore di Repubblica era a Parigi alla manifestazione contro l'attentato a Charlie Hebdo

Roma. “Agli islamici dobbiamo chiedere partecipazione alla nostra democrazia, e rispetto delle nostre regole. Che loro dicano ‘not in my name’ non basta più. Non basta affatto. In cambio della cittadinanza, noi dobbiamo pretendere che loro rispettino il fondamento delle nostre leggi, il che significa rispetto per la separazione tra stato e chiesa, significa libertà religiosa, significa riguardo per le regole costituzionali”, dice Ezio Mauro. E il direttore di Repubblica, domenica, ha partecipato alla marcia di Parigi, alla manifestazione che ha attraversato le strade della capitale francese. Mauro ha dunque visitato i luoghi della strage, “quel bersaglio simbolico e concreto” che è Charlie Hebdo. E lì ha assistito, racconta, “a una manifestazione straordinaria perché senza una sola parola d’odio. La gente, i cittadini, sembravano tutti dire: ‘Abbiamo una cosa da difendere, una cosa in cui credere, ovvero la nostra libertà”. Una libertà in senso vasto, “che coincide con la libertà d’espressione e con la libertà di stampa. Il che mi ha colpito molto”. E per la prima volta, aggiunge Mauro, “a manifestare fisicamente, a testimoniare la loro esistenza, c’erano anche gli euroburocrati. L’Europa non può essere soltanto economia, moneta, freddezza finanziaria”.

 

Il presidente francese, François Hollande, nel suo intervento pubblico, non ha mai associato la parola “terrorismo” all’aggettivo “islamico”. Un’omissione che è stata notata, e da molti stigmatizzata: timidezza, paura, impotenza, remoto senso di colpa? Risponde Mauro: “Quella di Parigi è stata guerra santa, jihad, terrorismo islamista. Repubblica lo ha scritto subito, sin dal primo giorno. La natura di questo attentato terrorista è infatti un elemento fattuale che non si può omettere. Hollande, a caldo, aveva forse il dovere della cautela, in ore concitate per chi è al governo e controlla gli apparati di sicurezza e quelli investigativi. Noi invece non abbiamo di questi doveri e dunque possiamo, dobbiamo dirlo. Lo abbiamo fatto subito. Quella di Parigi è stata una strage islamista e antisemita con la quale i terroristi hanno voluto colpire la nostra normalità”.

 

Abdel Fattah al Sisi, il presidente egiziano, parlando all’Università del Cairo ai primi di gennaio, si è rivolto agli ulema, cioè alle massime autorità religiose del suo paese, e ha manifestato loro la necessità e l’urgenza di una “rivoluzione” nelle radici della cultura religiosa islamica. “La figura di al Sisi va valutata con cautela, nel suo complesso, ma il suo è stato un discorso importante”, dice Mauro. “Al Sisi ha chiesto una rivoluzione e l’ha motivata dicendo sostanzialmente questo: ‘Non è possibile che le cose sacre alle quali noi crediamo spaventino il mondo’. Direi che ha colto il punto. Noi occidentali abbiamo infatti bisogno che nasca un islam democratico, un islam che dichiari esplicitamente di condividere i fondamenti del nostro sistema di vita comune. E dobbiamo spingere perché ciò avvenga, assolutamente. E infatti, che dal mondo islamico, dopo i fatti di Parigi, arrivi adesso un generico ‘not in my name’, ecco, questo non basta più. Non basta affatto. Dobbiamo pretendere che non basti. Dobbiamo pretendere che nasca un islam, come dice Al Sisi, dentro cui ci sia lo spazio per una fede religiosa che non sia ideologia totalitaria. Ideologia di morte”.

 

L’Italia ha avuto una storia intensa e drammatica di terrorismo politico, che colpiva i giornalisti, la libertà d’espressione. In Italia sono stati assassinati Tobagi e Casalegno, a Milano fu gambizzato anche Montanelli. E il terrorismo, quel terrorismo, fu sconfitto quando furono tranciate le lontane radici comuni che esso aveva con la sinistra del Pci. “Il terrorismo fu sconfitto grazie alla difesa delle istituzioni democratiche messa in campo dal Pci e dalla Dc”, dice Mauro. “Ma nella sinistra comunista non c’era una cultura dell’eversione. Certo, quelli erano anni in cui era molto insidioso sentirsi dire ‘né con lo stato né con le Br’, o che lo stato era ‘un guscio vuoto’. E fu certamente decisivo che il Pci si fosse schierato con così tanta forza a difesa delle istituzioni. D’altra parte a quei tempi, nei partiti, c’era una pedagogia continua. Tutte cose che in politica oggi non ci sono più. Ingrao, a Torino, in un famoso discorso, molto appassionato e molto teso, spiegò come il terrorismo fosse inconciliabile con la storia e gli interessi del movimento operaio”. E insomma Mauro sembra dire che il paragone tra terrorismo islamico e terrorismo rosso, che pure in tanti hanno fatto in questi ultimi giorni, non funziona. E non funziona perché nella sinistra comunista non c’era quella cultura eversiva e violenta, dice Mauro, che invece inquina, come ha detto al Sisi, la cultura islamica. E dunque: “Il mondo occidentale, oggi, ha il dovere di difendersi dal terrorismo restando se stesso, ma deve anche ottenere che l’islam inizi a condividere le sue regole”.

 

[**Video_box_2**]E così il direttore di Repubblica elenca l’orrore di Parigi, quasi a voler rendere ancora più esplicito quello che lui chiama attentato alla normalità: “C’è stato prima l’assalto alla redazione di un giornale, dodici persone assassinate, un poliziotto freddato per strada. Poi la povera vigilessa ammazzata perché era in preparazione l’assalto a un asilo ebraico. E infine i due sequestri di ostaggi in due posti diversi, tra cui un negozio kosher, con un tremendo bilancio complessivo di venti morti. Nel 2015. A Parigi. Incredibile. Con gente che non è potuta andare in sinagoga, genitori spaventati all’idea di portare i figli nelle scuole ebraiche. Ecco, tutto questo dimostra quanto i terroristi islamisti siano attenti alla normalità della nostra vita, quanto considerino eversive le nostre libertà. Un giornale e un negozio ebraico sono infatti la normalità della nostra vita. E noi dobbiamo difendere il nostro modo di vivere, quello stile della cui importanza ci accorgiamo non appena lo vediamo a rischio, com’è accaduto domenica alla manifestazione di Parigi”. Una marcia che Mauro considera importante perché, dice, “ho avuto l’impressione d’una presa di coscienza civile. Forte. I capi di stato e di governo finalmente si sono portati dietro anche i burocrati di Bruxelles. Ed è come se, chissà, tutti avessero capito che non si può vivere di sola moneta, che l’Europa è soprattutto altro”. Insomma Ezio Mauro esprime a parole la forza e l’ottimismo dell’occidente, il suo vigore universalista, “anche in tempi di struggimento e pessimismo per il declino”. E dunque dice che “l’Europa e l’occidente hanno una forza straordinaria, la capacità di difendersi, di difendere i principi democratici senza bisogno di tradirli e stravolgerli. E in questo senso”, aggiunge, “noi siamo portatori di qualcosa di universale. I terroristi infatti potranno anche colpirci di nuovo, e non c’è niente di più vigliacco, ma questo non può indebolire la coscienza delle persone che ho visto manifestare domenica a Parigi”. Come dire, noi siamo più forti finché restiamo noi stessi.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.