Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

Come ti smonto il patto, ovvero il Cavaliere e l'arte del disimpegno

Salvatore Merlo

Le migliori storie d’avventura e di fantasia sono quelle in cui l’avvicinarsi del pericolo non si vede ma si sente. “E anche in politica gli spaventi più forti sono provocati dai rumori”, dice Fabrizio Cicchitto, vecchia volpe ormai fuggita dal Castello di Arcore, “per questo bisogna prestare orecchio anche ai piccoli botti”, aggiunge.

Roma. Le migliori storie d’avventura e di fantasia sono quelle in cui l’avvicinarsi del pericolo non si vede ma si sente. “E anche in politica gli spaventi più forti sono provocati dai rumori”, dice Fabrizio Cicchitto, vecchia volpe ormai fuggita dal Castello di Arcore, “per questo bisogna prestare orecchio anche ai piccoli botti”, aggiunge, “al ribollire di umori nel cortile del Cavaliere”, precisa, “anche agli umori più fatui”, perché è Silvio Berlusconi, negli ultimi vent’anni, ad aver tessuto e disfatto, con assidua pendolarità, tutti i grandi accordi della Seconda Repubblica, in un lungo elenco di seduzioni e disinganni, dalla Bicamerale con Massimo D’Alema alla tecnocrazia di Mario Monti, fino alla grande coalizione di Letta il giovane. E allora che ne sarà – si chiedono tutti – del patto del Nazareno con Matteo Renzi, l’ultimo dei suoi tormentati abbracci? “Questo è forse l’unico accordo che a Berlusconi costerebbe troppo caro non onorare”, dice Giovanni Orsina, il politologo, l’editorialista della Stampa. “Berlusconi è cinico, realista. Se qualcosa gli conviene, se la tiene stretta. Altrimenti molla alla prima occasione”.

 

Ma se è vero che bisogna prestare orecchio anche ai rumori, come dice Cicchitto, allora Forza Italia è una discoteca in cui la sparata ad alto volume contro l’alleanza del Nazareno fluisce con sonora regolarità. E la tortuosa partita del Quirinale, tra ovvietà e schermaglie anzitempo, nel partito dove convivono due linee e due nature contrapposte, è causa di schiamazzi che il Cavaliere un po’ asseconda e un po’ reprime, sempre tantato da una suggestiva ambiguità. “Caro presidente Berlusconi, ti aspettavi davvero che quelli del Pd ti dicessero sì per il Quirinale?”, ha scritto ieri Renato Brunetta al Signore di Arcore, in una lettera pubblica. “Io ero sicuro che ti avrebbero risposto con un no, come hanno fatto, per di più per bocca di luogotenenti del Capo: sono più malizioso di te. Ma con la tua dichiarazione così trasparente e fiduciosa, hai costretto Renzi a svelare il bluff di un patto che, nella sua mente, era un azzardo morale sin dal principio”. Ecco i rumori. Dice il professor Orsina: “Al di là di tutto è ovvio che anche il Quirinale faccia parte degli accordi del Nazareno. Lo dice la logica. Se non ne facesse parte, Berlusconi avrebbe molto meno interesse a mantenere vivo il patto con Renzi. Le riforme lo interessano, certo. Gli interessa il Senato, e gli interessa molto la legge elettorale. Ma la cosa che il Cavaliere capisce di più sono gli uomini. Ovvero: al Quirinale ci sarà un nemico, o uno con il quale si può anche parlare? Finché il gioco non sarà chiaro, ci saranno turbolenze. Ma il Cavaliere ha tutto l’interesse a giocare la partita. Fino in fondo”.

 

A oggi, le riforme impossibili, e i grandi patti di sistema, hanno bruciato vite e carriere sul proscenio politico d’Italia, grandezze reali e illusioni riformiste. “E il patto del Nazareno, di per sé, non fa eccezione alla regola cinica della politica”, dice Cicchitto, che considera “un po’ pazza la polifonia di Forza Italia”. E dunque, comodamente seduti al punto finale, a dicembre del 2014, sarebbe un malinconico esercizio osservare la colata delle seduzioni e dei ventennali disinganni defluire verso di noi, tra patti di sistema e grandi negoziati esplosi, un disordine creativo che scorre lungo il pendio della Bicamerale, che percorre in ripida discesa i fatti più recenti del governo Monti e di quello Letta, tutta una verità che minuziosamente, considerati i precedenti, si organizza – chissà – per il botto finale anche tra Berlusconi e Renzi. “Ma quel botto difficilmente ci sarà”, preconizza Orsina. La Bicamerale si aprì festosamente nel 1997, tra imprevedibili attestati di stima (“D’Alema è un leader socialdemocratico”), e si concluse in malo modo nel 1999. La Seconda Repubblica era appena cominciata, ma già si avvertiva la necessità di rinnovare le istituzioni passate a nuova vita esclusivamente per la riforma della legge elettorale. Le comari si erano tese la mano per il supremo interesse della pacificazione e della modernizzazione, “ma poi D’Alema divenne presidente del Consiglio e Berlusconi intravvide dei rischi. E dunque si mollarono”, ricorda Orsina. Circa dieci anni dopo, tra l’autunno del 2007 e l’inverno del 2008, il Cavaliere tentò di nuovo le larghe intese, stavolta con Walter Veltroni, ma ancora una volta andò male. E bisogna aspettare altri tre anni, arrivare cioè all’incarico di Mario Monti nel novembre 2011, per rivedere il Cavaliere che concupisce, smania e agisce da statista costituente: il sostegno al governo tecnico dei professoroni, concesso e poi negato, “ma soltanto nel momento in cui Monti si era ormai completamente bollito”, dice Orsina, “quando si era ormai sotto elezioni. E dopo che il professore aveva rifiutato di prendersi il centrodestra che Berlusconi pure gli aveva offerto”. E insomma, ripete Orsina, “il Cavaliere sfascia tutto soltanto quando le cose non funzionano, quando i patti non convengono più”. E infatti, “il caso di Enrico Letta”, aggiunge, “è stato in qualche misura un’eccezione. Il Cavaliere frantumò le larghe intese, il 26 novembre del 2013, commettendo un errore politico, per ragioni condivisibilmente umorali. Era stato condannato ed espulso dal Senato. Ma come si fa a governare insieme a quelli che hanno votato la tua decadenza?”.

 

[**Video_box_2**]E così l’arte del disimpegno, per Berlusconi, sembra assumere dei caratteri quasi geometrici, fattezze razionali in un groviglio di spasmi umorali, si configura insomma con l’aspetto di un’increspatura contraddittoria su una sostanza che resta tuttavia sempre raziocinante. “Ora dipende un po’ dagli eventi”, dice Orsina. “Il destino del Nazareno dipende da come andrà quel gioco di specchi a scrutinio segreto che si chiama elezione del presidente della Repubblica. I patti possono anche saltare per ragioni oggettive, e indipendenti dalla volontà di chi li contrae. Che succede se il patto del Nazareno viene sabotato nel segreto di un’urna?”. Tutto il resto rimane dunque rumore di fondo, “come l’alterno abbaiare di alcuni amici di Forza Italia che così non aiutano Berlusconi”, sorride Cicchitto. “Da questi rumori”, aggiunge con ironia, “per il momento riconosci soltanto i guasti che ha comportato la legge Basaglia”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.