Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

Lui e Leporello

Salvatore Merlo

Poiché la matassa del romanzo berlusconiano si dipana sempre tra seduzione e anarchia, il 2015 del Cavaliere comincia così come è finito il 2014, e cioè con il corteggiamento amoroso a Matteo Renzi, che incontrerà tra il 7 e il 14 gennaio, e poi con i tumulti malinconici del suo feudatario Raffaele Fitto.

Roma. Poiché la matassa del romanzo berlusconiano si dipana sempre tra seduzione e anarchia, il 2015 del Cavaliere comincia così come è finito il 2014, e cioè con il corteggiamento amoroso a Matteo Renzi, che incontrerà tra il 7 e il 14 gennaio, e poi con i tumulti malinconici del suo feudatario Raffaele Fitto. Ordine e disordine, amore e guerra, un intrico che Berlusconi, lui che un po’ è Don Giovanni e un po’ è Re Lear, affronta assieme al suo Leporello, Denis Verdini, diplomatico e messaggero di tenerezze politiche e nazarene, ingegnere d’oblique e delicate trattative, dentro e fuori del Castello di Arcore, lui che sa zampettare tra le fila degli alterni alleati/avversari del Partito democratico ma anche tra i manipoli turbolenti di Forza Italia, tra i rivoltosi cui sempre Verdini si rivolge con un linguaggio di comprensione, fedele com’è all’idea, più volte manifestata anche al Sovrano Berlusconi, “che loro servono a noi quanto noi serviamo a loro. E litigare invece non serve a nessuno”. Tanti, troppi, troppo importanti sono i fili della trama nazarena perché si possa mollarli al vento: serve l’accordo con Renzi e servono pure i voti di Fitto, c’è il gran gioco del Quirinale, sì, ma subito, mercoledì prossimo, c’è da votare la legge elettorale in Senato, quell’Italicum ancora una volta modificato su cui dovranno convergere tutti i voti dei nazareni affinché il patto regga e sia solido.

 

E così Berlusconi si muove nel tepore domestico ma favoloso del Castello di Arcore e sfoglia il menabò confuso del suo futuro, un’idea fissa gli si srotola davanti con lentezza di serpente: “Appena mi lasceranno libero mi scatenerò”, dice, alludendo al 15 febbraio, quando cioè avrà finito di scontare la condanna ai servizi sociali nel sanatorio di Cesano Boscone. Dunque si scatenerà, promette all’inquieta tribù dei notabili di Forza Italia, agli uomini del partito che vedono balenare così mille specchietti elettorali. Eppure il Cavaliere del 2015 sa di essere pur sempre interdetto e incandidabile come il Cavaliere del 2014, colpito da una penombra ingrata, padrone dunque di una libertà sempre incompleta. Ed è forse per questo che in realtà un’indifferenza indispettita lo arma contro i voltafaccia dei rivoltosi di Forza Italia, un silenzio vegetale, apparentemente calmo che lo spinge ad affidarsi ancora all’arte del suo Leporello Verdini, l’intermediatore la cui cifra si riconosce anche nelle ultime inclinazioni del Cavaliere (“se al Quirinale ci va uno del Pd in fondo non importa”), nelle parole seducenti rivolte a Renzi, e  in quelle altalenanti e cinicamente contraddittorie rivolte a Fitto, il Ras che gli chiede democrazia: “Potremmo fare i congressi a dicembre”, diceva Berlusconi a novembre. “Li faremo a febbraio”, ha detto alcuni giorni fa. E insomma il 2015 è ancora un anno di danze, baruffe, amori oscuri e semilibertà (o semiprigionia) per il Cavaliere imparzialmente diviso fra eccitazione, contentezza e ansietà, sospeso com’è tra un’ipotesi di sistema che si chiama patto del Nazareno e vaghi, improbabili sapori guerreschi.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.