Il cardinale Philippe Barbarin

Ecco la linea Barbarin sull'islam, un vescovo che li conosce molto bene

Matteo Matzuzzi

L'arcivescovo di Lione e primate delle Gallie, è tornato per l’ennesima volta a Erbil, nel Kurdistan iracheno, per portare la solidarietà cristiana alle popolazioni perseguitate.

Roma. “A me piace la posizione del patriarca caldeo di Baghdad, Louis Raphaël I Sako. Lui dice di amare i musulmani perché ha passato con loro la sua intera vita. Allo stesso tempo, però, denuncia la violenza che qualche volta è presente in questa fede”. Il cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione e primate delle Gallie, è tornato per l’ennesima volta a Erbil, nel Kurdistan iracheno, per portare la solidarietà cristiana alle popolazioni cacciate di casa dalle milizie ben organizzate del califfo Abu Bakr al Baghdadi. Con lui, stavolta, c’erano cento cattolici francesi recatisi in Iraq per toccare con mano il dramma dell’esodo cui sono state costrette le popolazioni cristiane e yazide nell’ultimo anno. Barbarin era stato il primo presule occidentale, la scorsa estate, ad andare laggiù dopo la presa di Mosul da parte degli estremisti, capendo il pericolo mortale che l’esercito nero rappresentava, tra chiese depredate e profanate, tasse dal retaggio ottomano da far pagare a chi non è musulmano, conversioni forzate e decapitazioni di chi si fosse opposto a ripudiare la propria fede.  “Per me questa è stata la cosa più ammirevole: di fronte a una tale minaccia e a una tale violenza, nessuno tra loro ha rinnegato la propria fede in Cristo”, osservò ad agosto al blog Stanze Vaticane. Ai profughi cristiani di Qaraqosh riparati in Kurdistan dopo aver visto le proprie case marchiate con la “n” di nazara, nazareno, promise di “recitare ogni giorno il Padre nostro in aramaico fino al giorno in cui voi potrete rientrare a Mosul”. E’ durante quel viaggio che l’arcivescovo di Lione si disse favorevole – caso raro – all’azione militare nella regione, concetto ripetuto solo qualche giorno fa al sito americano Crux: “La coalizione internazionale doveva intervenire per proteggere i cristiani e le altre minoranze”. Certo, “è con la morte nel cuore che i vescovi approvano o richiedono l’uso delle armi”, ma “Giovanni Paolo II aveva ben spiegato al tempo della guerra nei Balcani che il pacifismo è a volte in contrasto con il progresso della pace”.

 

Si tratta di parole che assumono ancor più valore se si considera che il primate di Francia, nato nella marocchina Rabat sessantaquattro anni fa, è da sempre uno dei prelati più impegnati nel dialogo interreligioso, tanto che nel 2007 si recò assieme al presidente del Consiglio regionale per il culto musulmano locale, Azzedine Gaci, presso il monastero algerino di Tibhirine, dove sette monaci trappisti furono sequestrati e assassinati undici anni prima dal cosiddetto Gruppo islamico armato. Le loro teste furono poi appese a un albero, mentre dei corpi non si seppe più nulla. Il fatto è che i cristiani, compresi molti vescovi, guardano alla minaccia islamica secondo uno schema che prevede due sole opzioni, ha spiegato durante la visita a Erbil: “O si dice che molti musulmani sono sconvolti dalle atrocità commesse nel loro nome e insistono che l’islam è nella sua essenza una religione di pace, o assumono una linea dura chiedendo ai leader islamici di confrontarsi con il cancro presente nella loro comunità”. Opzioni valide, ha aggiunto Barbarin, ma solo se si riconoscono allo stesso tempo “le contraddizioni interne all’islam”. Che non sono affatto poche. Solo così sarà possibile gettare le basi di una convivenza – a suo giudizio possibile – pacifica tra le fedi, nel rispetto reciproco. “In Francia abbiamo due immagini contraddittorie dell’islam. Una sostiene che siamo tutti fratelli, che c’è un solo Dio e che tutto è dunque uguale”, interscambiabile, dunque la stessa cosa. “L’altra, invece, è quella di quanti sostengono che bisogna stare attenti ai musulmani per evitare di farci tagliare la testa”, ha aggiunto. E questo porta o a una eccessiva tolleranza o, viceversa, al moltiplicarsi di episodi islamofobi. Su questo i cristiani potrebbero fare qualcosa, orientare il dibattito, incidere di più, denunciare la violenza e parlare del profondo senso di Dio che si vede in molti musulmani. Invece, il loro ruolo è spesso quello di comprimari irrilevanti.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.