La manifestazione dei sostenitori di Pegida a Dresda (foto AP)

Pegida è contro l'islamizzazione dell'occidente, e preoccupa molto i tedeschi

Andrea Affaticati

Questa volta, i sostenitori dei Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’occidente si sono riuniti davanti al teatro dell’Opera di Dresda, la famosa “Semper Oper”, e hanno intonato canti natalizi.

Milano. Hanno partecipato di nuovo in massa. Solo che questa volta, i sostenitori di Pegida (Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’occidente), anziché sfilare per le strade di Dresda, si sono riuniti davanti al teatro dell’Opera, la famosa “Semper Oper”, e hanno intonato canti natalizi, ma non erano lì per prepararsi al 25 dicembre. Tutta colpa di Angela Merkel, scrivono alcuni commentatori politici. Prima l’AfD (il partito Alternativa per la Germania) ora Pegida, entrambi nati alla destra della Cdu. Con la cancelliera il partito si è spostato verso il centro, lasciando orfano lo zoccolo dei conservatori. E’ da metà ottobre che ogni lunedì Pegida chiama all’appello i suoi sostenitori a Dresda. Alla prima manifestazione, il 20 ottobre scorso, erano in trecentocinquanta, questa volta oltre 15 mila. Marciano, scandendo lo slogan che 25 anni fa i cittadini di Dresda scandivano contro il regime della Germania democratica: “Wir sind das Volk”, noi siamo il popolo. Le proteste di Pegida sono indirizzate verso la politica di immigrazione, il crescente numero di rifugiati, e soprattutto il timore di una islamizzazione della società tedesca. Sui manifesti si legge: “Vogliamo un referendum sul modello svizzero”; “Uniti pacificamente contro guerre di religione sul suolo tedesco”; “I cristiani salutano Pegida”. Dal palco si denuncia il pericolo di “Uberfremdung” (cioè troppi stranieri in casa propria), termine già usato ai tempi dei nazisti. A guidarli c’è Lutz Bachmann, 41 anni, leader carismatico di Pegida, in passato condannato al carcere per furto e truffa, e rifugiatosi in Sudafrica. “Lì però – osserva ora dal palco – la giustizia funziona e l’espulsione è stata rapidissima”. I media tedeschi denunciano il carattere xenofobo di Pegida, i politici parlano di “una grande vergogna” e anche Merkel ribadisce che “in Germania non c’è posto per chi predica l’odio”.
Nel nome del movimento si fa uso di un vocabolo ormai desueto per indicare l’occidente – e cioè non “Westen” ma “Abendland”. Una scelta per nulla casuale. Come spiega al Foglio lo storico Heinrich August Winkler – i cui lavori sull’occidente (è appena uscito il terzo volume della sua “Geschichte des Westens”, Vlg. C H. Beck) rientrano tra gli studi fondamentali – i due termini “Abendland e Westen, non sono precisamente sinonimi. Il Westen indicava l’occidente liberale e democratico, mentre l’Abendland evocava l’Europa premoderna”. E poi c’è il libro di Oswald Spengler “Der Untergang des Abendlandes” (“Il tramonto dell’occidente”). “Solo con l’abbandono negli anni Sessanta di questa visione ideologizzata esce di moda anche il vocabolo Abendland”, conclude Winkler. Ma anche secondo lui tacciare di simpatie neonaziste i manifestanti di Dresda è una conclusione affrettata. Si tratta piuttosto di “conservatori senza più patria, che ai tempi di Weimar avrebbero votato per il Partito popolare nazionale tedesco”.
Sono senza patria perché Merkel si è spostata troppo verso il centro? “No – risponde il politologo Jürgen Falter. “E’ vero – dice al Foglio – l’AfD, l’Alternativa per la Germania, è nata in opposizione alla politica di salvataggio dell’euro”. Pegida, invece, non ha come obiettivo Merkel, “si contrappone al pensiero dominante della sinistra e dei verdi. Contro l’idea che la Germania sia un ‘Einwanderungsland’, un paese di immigrazione”. Un concetto, anzi una realtà di fatto, che sotto Merkel la Cdu ha infine accettato. Ma mentre nella Germania occidentale c’è la consapevolezza che senza immigrati il paese metterebbe in gioco il proprio sviluppo, nei Länder dell’est non tutti hanno accettato l’idea, e tanto meno quella espressa da Christian Wulff nel 2010, appena eletto capo di stato, e cioè che “l’islam è parte della Germania”.
Senza ricorrere agli spettri del passato, è indubbio che qualcosa agita i tedeschi. In particolare quelli dell’est, indipendentemente dal ceto, come si vede alle manifestazioni del lunedì. Ci sono operai, ma anche liberi professionisti, commercianti e piccoli imprenditori. Gente che si allarma sentendo degli scontri avvenuti a fine ottobre tra hooligan e salafiti nelle strade di Colonia, e dell’assedio di Sydney. “Molti tra i manifestanti hanno la sensazione che non vi sia un partito capace di prendersi a cuore queste paure”, dice Falter. Ci sarebbe bisogno di un corpus di leggi capace di dare regole chiare e trasparenti. “Come negli Stati Uniti o in Canada, bisognerebbe fissare contingenti di ingresso per giovani da formare e disposti a integrarsi. E invece qui si registra tuttora una sorta di timidezza, anche quando c’è da condannare i predicatori d’odio”. Ma tornando a chi accusa Merkel, Falter conclude: “Il problema non è la Cdu, ma la Csu. Nell’Unione un tempo c’era una precisa divisione di ruoli. A politici cristiano-sociali, vedi Franz Josef Strauss, competeva il ruolo di battersi per i valori conservatori. Oggi Seehofer purtroppo è una banderuola”.
    Andrea Affaticati
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