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L'Opec lascia la produzione immutata (e tenta lo sgambetto al greggio americano)

Redazione

Vince la linea dell'Arabia Saudita: si resta a quota 30 milioni di barili al giorno. Sconfitti Venezuela e Iran che chiedevano una umento dei prezzi. Il vertice inaugura così la guerra allo shale americano. E le Borse non gradiscono.

Il vertice dei paesi produttori di petrolio dell'Opec si è concluso con la decisione di lasciare la produzione del greggio invariata a 30 milioni di barili al giorno. Il ministro del Petrolio del Kuwait, Ali al Omair, ha affermato che non c'è stato "nessun mutamento" degli obiettivi produttivi". Una scelta definita da Ali al Naimi, ministro del Petrolio dell'Arabia Saudita, una "grande decisione". La linea morbida di Riad è quindi prevalsa sui 'falchi' come Venezuela e Iran, gravemente colpiti dal basso costo del greggio e che premevano per una riduzione della produzione in modo da far risalire i prezzi. In tal mondo il prezzo del greggio potrebbe assestarsi intorno ai 60-70 dollari al barile.

 

Sulla scia della decisione dell'Opec di mantenere la produzione immutata, il light crude Wti è subito sceso a 70,75 dollari al barile, il minimo dal giugno 2010, mentre il Brent lascia sul parterre oltre 3,5 punti percentuali sotto la soglia dei 75 dollari al barile. I prezzi del petrolio sono già scesi di un terzo da giugno in seguito alla crescita esponenziale della produzione statunitense e dal rallentamento dell'economia europea e cinese che ha colpito la domanda. Anche le reazioni delle Borse mondiali non si sono fatte attendere: la decisione dell'Opec di lasciare la produzione di petrolio invariata pesa sulle monete di due importanti esportatori come Russia e Norvegia. Il rublo arretra a quota 47,60 sul dollaro mentre la corona norvegese cede l'1 per cento a quota 8,62 sull'euro.

 

[**Video_box_2**]La decisione presa oggi rappresenta l'inizio di una guerra economica. Un eventuale taglio della produzione, non accompagnata da un'identica misura da parte dei competitor (soprattuto gli Stati Uniti), avrebbe significato la perdita di importanti fette di mercato. Per i paesi del Golfo Persico, come l'Arabia Saudita, un livello basso dei prezzi rappresenta comunque una misura sopportabile, data la loro elevata disponibilità di riserve di valuta estera, mentre risulta meno percorribile per gli altri membri dell'Opec. Paesi come Qatar e Iraq si sono quindi dichiarati favorevoli a un livello che oscillasse tra i 60 e i 100 dollari al barile. Olivier Jacobs, analista della società di consulenza Petromatrix, ha detto a Reuters che l'obiettivo di Riad a questo punto è quello di indebolire lo shale, il petrolio da roccia prodotto in gran parte dagli Stati Uniti, che ha un costo molto più elevato.

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