Lo stabilimento di La Hague di Areva (foto LaPresse)

Dispacci economici

Alberto Brambilla

Non brindate alle fusioni, storia di una centrifuga giudiziaria, débâcle Areva e l’ebola in miniera.

LA DANZA delle fusioni genera frenesie. Il mercato internazionale delle fusioni e acquisizioni galoppa. Lunedì sono sono stati annunciati due “big deal”. La casa farmaceutica Actavis vuole comprare Allergan (quella del Botox), una fusione record da 66 miliardi di dollari. Halliburton ha annunciato la fusione con la rivale Baker Hughes, il più grande merger nel settore dei servizi petroliferi dal 1995 se l’Antitrust acconsentirà. Le banche d’affari gongolano: l’attività delle acquisizioni è aumentata del 32 per cento da inizio anno, gli incassi in consulenze del 14 (17,7 miliardi di dollari). Ma quanto durerà la frenesia? Dodici mesi, per vari motivi: in primis l’incertezza delle elezioni americane, dice una vecchia volpe di Borsa come Joseph Perella al Wall Street Journal. I grandi accordi, utili a generare sinergie e risparmi, sono facili da annunciare ma in media il 10-20 per cento finisce male. Quest’anno la 21st Century Fox di Rupert Murdoch ha rinunciato alla Time Warner. La telefonica Sprint (della giapponese Softbank) ha smesso di corteggiare T-Mobile Us. Publicis e Omnicom hanno accantonato l’idea di creare la prima concessionaria di pubblicità globale. L’anglo-svedese AstraZeneca tuttora respinge l’americana Pfizer e si chiude nel business dei farmaci oncologici. Tutti dicono che un flop non è nulla, ma poi portano le cicatrici di scelte avventurose. Andateci piano, dunque, prima di brindare agli sposi.

 

ORDINARIA INGIUSTIZIA ALLA EX MERLONI (ma forza yankees!). La vendita di Indesit all’americana Whirlpool nel luglio scorso è stata letta polemicamente dalla stampa  come l’ennesimo caso di un pezzo della manifattura italiana “scappato” all’estero. A cercare lo scandalo nello “scorporo” della multinazionale degli elettrodomestici fondata da Aristide Merloni nel 1930, bisognerebbe piuttosto guardare alla cessione di un altro ramo del gruppo accolto da mani italiane. La vendita della Antonio Merloni Spa, divisione meccanica, è infatti ostaggio da oltre due anni di un guazzabuglio giudiziario. Ora rischia di chiudere, dicono i sindacati. La vicenda è grottesca. L’azienda è stata ceduta all’italiana Jp Industries nel dicembre 2011 dalla gestione commissariale del ministero dello Sviluppo economico, per 13 milioni di euro: l’imprenditore marchigiano della Jp, Giovanni Porcarelli, ha comprato il complesso industriale (tre stabilimenti, due nel fabrianese e uno in Umbria) presentando un piano di rilancio che prevedeva il reimpiego immediato di 700 dipendenti e ambiva all’espansione nell’est europeo. Sembrava fatta. Per qualche mese la produzione di componenti per asciugatrici e lavatrici va, sebbene a singhiozzo. Ma nel febbraio 2012 le banche creditrici dell’ex Antonio Merloni, esposte per circa 178 milioni, ricorrono al tribunale di Ancona contestando il prezzo di vendita: troppo basso. La causa civile viene promossa da Banca Toscana (gruppo Monte dei Paschi), si associano Unicredit, Intesa Sanpaolo, Carifirenze, Carifac, Banca Marche e Popolare di Ancona. Vincono anche in Appello e la cessione viene annullata a settembre dell’anno scorso. Il prezzo corretto secondo i periti giudiziari è di 54 milioni. Gli operai hanno protestato (“l’economia reale siamo noi, non le banche”) ma restano nel limbo: senza potere lavorare, rischiano di perdere la protezione degli ammortizzatori sociali. Il governo ha avviato “una fase di interlocuzione” con gli istituti di credito giusto cinque mesi fa, quand’era la “straniera” Whirlpool a far gridare allo “scandalo”.

 

[**Video_box_2**]AREVA E’ FUSA, L’ATOMO FRANCESE E’ IN GUAI SERI. Ieri il costruttore di impianti nucleari Areva, di proprietà dello stato francese, ha annunciato che non riuscirà a raggiungere gli obiettivi finanziari fissati per i prossimi due anni. Il titolo ha subìto il crollo quotidiano più consistente dal 1999: meno 19 per cento. I vertici imputano la débâcle ai ritardi nella costruzione di un impianto in Finlandia e alla difficoltosa ripresa del settore in Giappone a seguito del disastro di Fukushima del 2011 che comportò pure il disimpegno nucleare tedesco. Si aggiungono il rinvio al 2017 del reattore di Flamanville, operatore Edf, e il recente rimpasto al vertice: toccherà all’ex capo di Peugeot Citroën, Philippe Varin, tamponare la falla e magari fare attenzione ai (corteggiatissimi) nuovi progetti dell’Arabia Saudita. 

 

L’EBOLA INFETTA I GIGANTI DELLE MINIERE. L’epidemia di ebola in Africa occidentale colpisce le grandi società minerarie, già alle prese con la caduta dei prezzi del minerale di ferro. La franco-indiana ArcelorMittal ha sospeso l’espansione della sua miniera in Liberia. L’inglese London Mining, il principale investitore in Sierra Leone, è in cerca di un compratore per la miniera Marampa. L’angloaustraliana Rio Tinto ha bloccato un progetto da 20 miliardi di dollari in Guinea Bissau.

 

 

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.