Hugo Chavez in un discorso rivolto ai lavoratori del settore petrolifero nel 2007

La maledizione dell'oro nero, dal Venezuela chavista all'Urss che fu

Luciano Capone

Populismo socialista e petrolio in abbondanza battuti dalle leggi dell’economia. Parla Panunzi (Bocconi).

Roma. Nei paesi socialisti la mancanza di carta igienica è uno dei segnali che le cose iniziano a mettersi male. Piero Ostellino, storico corrispondente del Corriere della Sera a Mosca, racconta che in Unione sovietica (Urss) i rotoli erano diventati un bene talmente ricercato che, chi come lui aveva la possibilità di acquistarne dalla Finlandia, li portava in dono negli inviti a pranzo; per la padrona di casa erano un regalo più gradito del classico mazzo di fiori o della confezione di cioccolatini. Il socialismo sarà anche stato il grande progetto di edificare “il potere dei soviet più l’elettrificazione”, ma ha sottovalutato e dato per scontato dettagli ed esigenze più basilari.

 

Nei mesi scorsi anche nel Venezuela chavista, il grande laboratorio del “socialismo del XXI secolo”, la carenza di carta igienica è diventata un problema sociale, così grande da richiedere l’intervento del governo con l’occupazione delle fabbriche per pianificare il processo di produzione e distribuzione. La penuria di carta igienica può essere vista come un primo segnale per il Venezuela di una fine simile a quella dell’Urss, improvvisa e per certi versi inaspettata, e per le stesse cause: economia pianificata, sussidiata e strettamente dipendente dalle risorse naturali.

 

Per l’Urss la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata negli anni 80 il crollo del prezzo del petrolio, e lo stesso sta accadendo al Venezuela di Nicolás Maduro che sta subendo una discesa verticale del prezzo del greggio tale da mandare il paese sull’orlo del default. “E’ un classico caso di maledizione delle risorse naturali, quella che gli economisti chiamano ‘Dutch disease’”, dice al Foglio Fausto Panunzi, economista della Bocconi. Il Male olandese si riferisce ai Paesi Bassi degli anni 60, in cui la scoperta e lo sfruttamento di giacimenti di gas naturale portarono a un declino della crescita e della produzione industriale, “ma forse il primo emblematico è quello della Spagna del XVII secolo, entrata in declino economico dopo lo sfruttamento massiccio delle miniere di oro delle Americhe”. In questi casi accade che l’incremento del reddito dovuto dal boom delle risorse naturali rafforzi il tasso di cambio, rendendo meno competitivi tutti gli altri settori e quindi causando una desertificazione industriale. Il petrolio (o le altre risorse) diventa l’unica fonte di ricchezza e tutto il resto deve essere acquistato dall’estero. “E’ ciò che è accaduto all’Urss, che dopo la collettivizzazione ha visto crollare la produzione agricola diventando uno dei più grandi importatori mondiali di grano – dice Panunzi – Importazioni che non potevano essere pagate con gli scadenti beni industriali, ma solo con il petrolio”. Proprio ciò che è accaduto al Venezuela, dove il petrolio rappresenta il 95 per cento dell’export, l’unica fonte di dollari, necessari ad acquistare praticamente tutto perché qualsiasi altra attività economica è morta sotto i colpi della pianificazione, dell’inflazione e dei prezzi controllati.

 

“Ovviamente non c’è nulla di deterministico – continua l’economista della Bocconi – Ci sono casi di paesi portatori sani del Dutch disease come la Norvegia, alcuni paesi arabi, il Botswana o il Cile”, paesi che non hanno speso immediatamente tutti i proventi drogando l’economia, ma hanno risparmiato e diversificato investendo attraverso i fondi sovrani. “Il Cile è un caso emblematico – dice Panunzi – Quando ci fu un’impennata del prezzo del rame, il ministro dell’Economia dal 2006 al 2010, Andrés Velasco, resistendo alle pressioni politiche e popolari, decise di non spendere gli extraprofitti, ma di risparmiare, diventando il politico più odiato del paese. Quando poi nel 2008 scoppiò la crisi economica, Velasco riuscì ad arginare gli effetti negativi spendendo tutte le riserve messe da parte. Terminò il mandato da salvatore della patria”.

 

Esattamente il contrario di ciò che fecero l’Unione sovietica e il Venezuela di Hugo Chávez (scomparso lo scorso anno). “I sovietici avevano un’economia estremamente inefficiente, ma avrebbero dovuto mettere in discussione l’intero sistema. Preferirono sfruttare massicciamente i pozzi petroliferi e furono aiutati dalla crisi petrolifera degli anni 70 – dice Panunzi – che portò il prezzo del greggio alle stelle, permettendo di tenere in piedi l’apparato militare, di finanziare le importazioni e sussidiare l’industria dei paesi satellite”. Lo stesso colpo di fortuna avuto da Chávez con l’impennata del prezzo del petrolio degli anni Duemila: il “Comandante supremo ed eterno” usò il colosso petrolifero statale Pdvsa come un bancomat per finanziare costosissimi programmi di spesa sociale, consolidare il suo potere sull’unica fonte di ricchezza del paese e costruire una leadership regionale attraverso sussidi a paesi satellite riuniti in alleanze internazionali come Alba e Petrocaribe.

 

Chávez ha rifornito di energia anche i poveri degli Stati Uniti per dimostrare che il socialismo è capace di badare al popolo più del capitalismo, politiche non meno assurde dei sussidi alla benzina, che in Venezuela costa meno dell’acqua, circa 2 centesimi di dollaro al litro. Lo sfruttamento del petrolio come unica fonte di politica economica e fiscale è stato però, per l’Urss e per il Venezuela, come segare il ramo su cui erano seduti. I sovietici presto deteriorarono i pozzi e così anche i chavisti che, pur sedendo sulle riserve di petrolio più grandi del mondo, hanno visto crollare la produzione perché le risorse che dovevano essere investite nella tecnologia necessaria a sfruttare i nuovi giacimenti sono state spese in programmi assistenziali.

 

La lezione manzoniana sull’assalto ai forni

 

Ora il Venezuela è alle prese con un’inflazione altissima e vede assottigliarsi sempre più le riserve di dollari, che servono a importare praticamente tutto. Ciò significa carenza di beni essenziali. Nella stessa situazione “il suggerimento che alcuni consiglieri davano a Gorbaciov, quello di lasciare andare liberamente i prezzi, rimase inascoltato – dice Panunzi – perché ciò sarebbe stato politicamente troppo costoso”. Far salire i prezzi, mostrare il prezzo reale delle cose, dà l’impressione di avvantaggiare i ricchi, una scelta impossibile per un governo socialista. Così succede che i governanti affrontano il problema scagliandosi contro il complotto capitalista, finanziario e fascista, contro gli speculatori, gli accaparratori e preferiscono razionare il cibo e imporre i prezzi, provvedimenti che sembrano più equi. “Ma sono decisioni che confondono i desideri con la realtà – continua Panunzi – Nessuno lo ha spiegato meglio di Manzoni nel capitolo XII dei Promessi sposi: “Antonio Ferrer – scrive Manzoni – vide che l’essere il pane a un prezzo giusto è per sé una cosa molto desiderabile; e pensò che un suo ordine potesse bastare a produrla”. Di fronte alla carestia il cancelliere Ferrer ritiene cosa buona e giusta imporre un prezzo basso del pane, “però tutti i provvedimenti di questo mondo, per quanto siano gagliardi non hanno virtù di diminuire il bisogno del cibo, né di far venire derrate fuor di stagione”. E così la conseguenza è “l’assalto ai forni”. Assalti visti anche nei supermercati di Caracas, che però fanno gettare nei forni le pale dei fornai, rendendole cioè inutilizzabili: “Le devastazioni dei forni non sono i mezzi più spicci per far vivere il pane – scrive Manzoni – Ma questa è una di quelle sottigliezze metafisiche, che una moltitudine non ci arriva”. Sono provvedimenti che non risolvono i problemi, forse li aggravano: “Il razionamento e i controlli causano corruzione e paura della scarsità – dice Panunzi – Spingono le persone ad accumulare beni nel timore che ce ne siano sempre meno. In Urss ci si spostava di centinaia di chilometri per prendere beni che si trovavano più facilmente in alcune città”. E così i prezzi fissi e il razionamento dei consumi disincentivano la produzione e causano distorsioni incredibili.

 

[**Video_box_2**]Nel Venezuela della Revolución bolivariana la vendita di beni alimentari al mercato nero è assimilata al narcotraffico, punita con pene che vanno dai 10 ai 14 anni. Un’altra situazione paradossale è quella delle prostitute, categoria tra le più ricche del paese. Le prostitute infatti hanno la fortuna di entrare in contatto con gli stranieri e di farsi pagare in dollari, il cui cambio ufficiale fissato dal governo è di circa 6 bolivares, ma in realtà sul mercato nero di bolivares ne valgono 100. E così le prostitute guadagnano più dall’attività di cambiavalute che dalle prestazioni sessuali e rischiano sanzioni non per il mestiere più antico del mondo – quello è lecito – ma per la libera vendita di dollari, che invece è illegale.

 

In una situazione del genere, chi è al governo non può fare nulla di necessario che non lo renda ancora più impopolare, non gli resta che gestire il potere nella speranza che lo choc che causerà il crollo arrivi il più tardi possibile. “Quando a metà anni 80 crolla il prezzo del petrolio, l’Arabia Saudita, alleata degli Stati Uniti e minacciata in medio oriente dai possibili contraccolpi dell’espansione sovietica in Afghanistan – prosegue Panunzi – decide di aumentare la produzione per abbassare ulteriormente il prezzo. Per i russi non c’era più speranza”. E percorrendo la similitudine tra il socialismo sovietico e quello bolivariano, la morte potrebbe venire ancora una volta per mano dei sauditi. Allarmato dalla discesa del petrolio a 80 dollari al barile e con un “break even fiscale” a 120 dollari – ovvero il prezzo del barile per avere un bilancio in pareggio – il presidente Maduro ha chiesto una riunione straordinaria dell’Opec, il cartello dei paesi produttori di petrolio, allo scopo di far salire il prezzo. Ma l’Arabia Saudita – vuoi per mantenere quote di mercato o per colpire un avversario in difficoltà come l’Iran – ha risposto picche.
Visto il pessimo stato degli indicatori economici, al Venezuela non resta molto tempo per evitare un default estero (quello domestico è avvenuto già da tempo). Ancora una volta il socialismo annegherà nel petrolio. Per le masse doveva essere il Sol dell’avvenire, ma è stato solo una luna nel pozzo.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali