Freddy Bernal (a sinistra), Huho Chavez (al centro) e Cilia Flores (a destra) (foto AP)

A Caracas il “Bruce Lee della sinistra” fa ordine tra le bande armate

Angela Nocioni

Nella capitale del Venezuela ci sono cinque grandi polizie, più quelle municipali, e tutte si sparano tra loro. Poi ci sono le bande di quartiere armate. Il presidente Maduro, dopo aver sacrificato il suo ministro dell’Interno, ha chiamato l’ex sceriffo della Caracas dei poveri.

Roma. C’è una tale abbondanza di polizie a Caracas che i sopralluoghi della squadra omicidi dopo un assassinio in una strada del centro sembrano casting di brutte facce da serie tv, con personal stylist al seguito. Divise di ogni tipo. A manica corta, a manica lunga, grigie, blu, nere, soprattutto nere. Col teschio o senza, qualcuna con la tibia insieme al teschio. Giacche con le spallone imbottite. Quelle per i funzionari destrutturate con taglio che vorrebbe essere francese. Alcune slim, corte sui fianchi. Distintivi quasi identici, ciascuno con acronimo diverso appuntato sul taschino. Cinque grandi polizie nella capitale, più le polizie municipali che rispondono a ciascun distretto. Ce ne sono di chaviste e di antichaviste, si sparano tra loro che è una bellezza. E questo solo a Caracas.

 

Sono 147 i corpi di polizia in tutto il Venezuela, senza contare la Guardia nazionale, corpo di élite militare con ruolo di polizia, ma che con la polizia non vuole avere niente a che fare. Obiettivamente, un gran casino. Mettere mano al calderone è una missione suicida. Il massimo a cui si spinse Hugo Chávez, nel 2006, dopo uno scandalo per tre studenti trucidati all’università, fu creare una innocua commissione al Congresso. Da militare, sapeva che fare altro sarebbe stato altamente rischioso anche per lui che della Rivoluzione era il capo carismatico. Il temerario autista di autobus Nicolás Maduro, invece, lo farà. Inviso a poliziotti e militari come solo un sindacalista di professione può essere, sprezzante del pericolo, ha deciso che la misura è colma. “E’ il tempo – ha dichiarato in tv a reti unificate – della revolución en la seguridad publica”. Niente meno. Ridisegnare tutti i corpi di sicurezza, tagliare teste, far saltare equilibri, rimescolare tutto.

 

E chi ha scelto per la missione impossibile? L’ex sceriffo della Caracas dei poveri. Un ex poliziotto di sordido quartiere, tutto muscoli e avanzi di galera. Un autentico fuoriclasse, per chi apprezza il genere. Freddy Bernal, 52 anni, piccolino, fisico asciutto, oratoria da leader popolare, è ancora una leggenda metropolitana nella Caracas ovest, la parte povera della capitale, quella a più alto tasso di morti ammazzati. Perfetto per il ruolo, se sopravvive. Freddy è stato il capo amato e lodato della ormai estinta Polizia metropolitana di Caracas, un’accozzaglia di delinquenti fascistelli di vario taglio che Chávez, arrivato alla presidenza nel 1998, volle rendere fedeli alla Rivoluzione. Freddy, ragazzino di strada che nella strada è cresciuto, ne fece in un paio d’anni un gruppo rabbioso, ma fedele ai suoi ordini, a cavalcioni della moto. Si inventò lui “los motorizados”, poi diventati un simbolo del pianeta chavista. Schizzava per le strade del centro senza casco, coi jeans strizzati e la canottiera bianca accecante da coatto, sempre in testa all’orda di poliziotti motociclisti al seguito.

 

Chávez ne colse il valore pop e ne fece un’icona della Revolución bonita. Lo candidò a sindaco di un popoloso municipio di Caracas ovest, baraccopoli di povera gente. Freddy vinse e il pellegrinaggio laico a casa sua divenne una tappa obbligata dei tour per gli ospiti internazionali vip del presidente. Il fedele Freddy, che mai aveva dato un ricevimento in vita sua, è stato per anni costretto a passare serate noiosissime tra tartine e commensali europei, quasi sempre uomini – peggio, spesso francesi – che lui, si vedeva proprio, avrebbe volentieri appeso per i piedi in soffitta. E loro, invece, entusiasti, elettrizzati da quella gita notturna (scortata) in un quartiere off limits, gonfi di rum, erano contenti come bambini e non pensavano mai ad andarsene prima dell’alba. La cricca del Monde diplomatique, poi, per lui coltivava un’autentica passione. Ignacio Ramonet una notte ebbe una folgorazione per un brindisi: “Al nostro Freddy, finalmente abbiamo un Bruce Lee della sinistra!”. Lui, poverino, sorrise. La cotta “internacional y solidaria” del giro degli amici europei di Chávez durò due o tre anni. Poi qualcosa accadde. Strani giri di soldi, generali infastiditi dal successo militare e politico di un figlio di nessuno, problemi coi narcos sussurrò qualcuno, fatto sta che Freddy, piano piano, cadde in disgrazia. Ora, come una vecchia stella d’epoca uscita dalla naftalina, è tornato in scena. Lui, il mitico Freddy Bernal, ha in mano la trasformazione del sistema dei corpi di sicurezza.

 

La decisione azzardata è stata presa da un Maduro in crisi di nervi dopo il grosso guaio commesso dalla polizia giudiziaria il 7 ottobre nell’edificio Manfredín, nell’Avenida sur, a pochi metri in linea d’aria dal Palazzo presidenziale di Miraflores. In quel mostruoso parallelepipedo di cemento, in pieno centro, ha la sua sede principale la Plataforma 5 de Marzo, banda armata che lavora per il governo. Una delle tante, nemmeno la più cattiva. Dall’avvento della Rivoluzione hanno preso quota “los colectivos” – le bande di quartiere armate – vecchi gruppi organizzati di delinquenti che fanno da guardie senza divisa per conto del governo. Tengono sotto controllo le strade a rischio, funzionano come rete di pronto intervento in città, sistemano sul nascere i gruppi autorganizzati dell’opposizione. Alcuni vecchi galeotti e molti ragazzini, veloci con il coltello come con il revolver. I ministri che contano hanno loro come guardaspalle. Di solito il rapporto con il potere poliziesco legittimo fila liscio, la divisione di ruoli è abbastanza chiara: agli uni il lavoro occulto, agli altri quello in chiaro. Con tutta la polizia i rapporti sono di quieto vivere, tranne che con i cecchini della polizia giudiziaria. Perché la giudiziaria abbia truppe d’assalto e franchi tiratori è uno dei tanti misteri caraqueñi, però era cosa nota da tempo che la polizia giudiziaria vedesse di mal occhio la 5 de Marzo, piattaforma di raccordo di più bande. Con la scusa di voler cercare le prove di una avvenuta tortura (sai che novità) nella sede della 5 de Marzo, la polizia giudiziaria ha circondato l’edificio e compiuto un’operazione di guerra a Caracas paralizzando per quattro ore il centro della città.

 

[**Video_box_2**]Il conflitto era evidente: appostata sui tetti c’era la polizia giudiziaria con la sua truppa d’élite, intrappolati nel palazzo i militanti del collettivo Escudo de la Revolución insieme a quelli del Frente 5 de Marzo. Nessuna sparatoria, un irreale silenzio, poi cinque cadaveri di militanti della banda stesi a terra, col foro in testa dell’esecuzione a freddo. Tra gli uccisi c’è José Miguel Odreman Dávila, ex sergente della polizia metropolitana, leader giovane della 5 de Marzo, che voleva essere il punto di fusione e quindi il capo politico delle tante bande del centro di Caracas. Perché l’abbiano voluto uccidere così sfrontatamente non si sa. Non è una strage qualsiasi, vuol dire che la valvola di sicurezza tra esercito legale ed esercito parallelo è saltata. Vuol dire che il governo è ricattato da più parti nella gestione della sicurezza.

 

La 5 de Marzo si è ribellata, ma non da sola. Tutti i “colectivos armados”, il nome politicamente corretto delle bande al servizio del governo, hanno fatto quadrato attorno ai compagni colpiti. Y ahora? Panico a Palazzo. Senza colectivos il già disordinato ordine pubblico di Caracas diventa una bomba a orologeria. Per non parlare del timore di vendette, delle informazioni sensibili, delle mille verità indicibili che i quadri anche medi delle bande maneggiano. I colectivos hanno detto: vogliamo la testa del ministro dell’Interno. E la testa del ministro dell’Interno hanno avuto. Non è un papavero qualsiasi. Si tratta del generale Miguel Rodríguez Torres, capo dell’Interno e della Giustizia, fedelissimo del presidente Chávez, un intoccabile. Lui, che da vecchio militare ha capito subito la sostanza della guerra in corso, ha chiesto un incontro pubblico alle bande. Gli ha risposto solo la Alexis vive, una delle più politiche. Funziona così l’universo parallelo dei colectivos armados: ce ne sono alcuni come la Alexis vive, la Piedrita e i Tupamaros della 23 de Enero, per esempio, che hanno un braccio militare e uno politico che si occupa di fare proselitismo nei quartieri e di proteggere gli abitanti dei sobborghi in mano al narcotraffico, e poi ce ne sono alcuni che hanno solo il braccio armato e fanno politica con quello.

 

Il generale Rodríguez Torres ha parlato alla banda Alexis vive in un happening surreale, con grande selva di tv governative a coprire l’evento. Il generale ha tentato di distinguere tra collettivi e bande. “Un collettivo è espressione dell’organizzazione del potere popolare, i collettivi in Venezuela esistono da qualche anno, anni in cui si è svolto un lavoro serio. Vogliono la pace, la cultura, lo sport e l’autorganizzazione popolare”, ha detto. Alle bande la mossa non è bastata, hanno minacciato una marcia armata nel centro di Caracas. L’unica possibilità per Maduro è stata cacciare Torres.

 

Sdoganate da Chávez dopo il fallito golpe del 2002, quando, rivolgendosi ai golpisti sconfitti disse: “Somos una revolución pacifica, pero armada…”, le bande hanno avuto mano libera per tutti questi anni, fino allo scorso febbraio. Allora, appena iniziata l’unica protesta di massa contro il governo chavista che sia durata più di qualche giorno (due mesi), los colectivos si sono fatti prendere la mano. Troppo sicuri dell’impunità certa, facevano irruzione nel bel mezzo delle riunioni dell’opposizione, aggiustavano diatribe personali, sparavano, erano fuori controllo. A Maduro, faccione gonfio e baffo triste, è toccato minacciarli in tv a reti unificate: “Candelita que se prenda, candelita que se apaga”. Tradotto: datevi una calmata o vi tolgo moto, soldi e potere. Loro sono stati buoni, ma le truppe d’élite della polizia ne hanno approfittato per tentare di chiudere i conti. Non ci sono riuscite e Maduro s’è trovato tra due fuochi. Come si muove si brucia. E nell’ora della disperazione ha chiamato Super Freddy.

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