Jean-Claude Juncker (foto LaPresse)

Al sesto giorno

I leak del Lussemburgo menano duro su Juncker

David Carretta

I “tax ruling” nel Gran Ducato svelano quanto è spregiudicato il capo dell’Ue.

Bruxelles. Al sesto giorno del suo mandato, il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ieri si è trovato sotto attacco dopo la pubblicazione da parte dell’International Consortium of Investigative Journalists dei cosiddetti “Lux Leaks”: oltre 24 mila pagine di documenti legati alle decisioni fiscali (tax ruling) adottate tra il 2002 e il 2010 dalle autorità del Lussemburgo e che hanno consentito alle multinazionali di mezzo mondo di eludere miliardi di euro di tasse. “I tax ruling esistono in gran parte dei paesi dell’Unione europea e altrove”, si è difeso il ministro delle Finanze lussemburghese, Pierre Gramegna: “Rispettano il diritto del Lussemburgo, dell’Unione europea e le convenzioni internazionali”. Anche il portavoce di Juncker ha minimizzato il presunto scandalo definendola una “tipica situazione da inchiesta di aiuti di stato”: “l’ottimizzazione fiscale – ha spiegato Margaritis Schinas – è una delle tante pratiche che gli stati usano per stimolare l’economia e attrarre imprese. Continueranno a farlo”. L’esecutivo comunitario ha già avviato due inchieste approfondite contro il Lussemburgo per il sospetto che, con i suoi tax ruling, abbia concesso aiuti di stato illegali a Fiat Finance and Trade e Amazon. Il portavoce di Juncker ha promesso che “la Commissione applicherà le regole per assicurare che questi schemi non distorcano la concorrenza nel mercato unico”. Anche se è lussemburghese, e anche se è stato primo ministro del Gran Ducato nel periodo di proliferazione dei tax ruling, Juncker è “determinato ad applicare le regole erga omnes”, ha detto Schinas. Sarà la nuova zarina antitrust, la danese Margrethe Vestager, a condurre le indagini. Juncker è “sereno”.

 

In realtà, il presidente della Commissione è meno “cool” di quanto il suo portavoce lo abbia descritto. Appena saputo della pubblicazione dei Lux Leaks, Juncker ha annullato la partecipazione a un evento pubblico, dando la colpa a un brutto raffreddore che avrebbe colpito il suo antico predecessore, Jacques Delors, che avrebbe dovuto interloquire con lui. Secondo un consumato osservatore della quotidianità brussellese, al Berlaymont si respira “l’aria della commissione Santer”, caduta sotto il peso di una serie di scandali, innescati dall’assunzione di un dentista come consulente dell’allora commissaria Edith Cresson. L’establishment dell’eurocrazia ha ricevuto ordine di proteggere il soldato Juncker, che da anatra zoppa per età e vizi rischia di trasformarsi in anatra morta. Il presidente dell’Europarlamento, il socialista Martin Schulz, ha confermato la sua “fiducia” nel presidente della Commissione. Il capogruppo dei popolari, il tedesco Alfred Weber, ha sottolineato che lo scandalo non deve trasformarsi in una “questione personale”. Il ministro delle Finanze francese, il socialista Michel Sapin, ha parlato di “riflesso del passato, ora dobbiamo guardare al futuro”.

 

[**Video_box_2**]Una pratica comune - Tra i ministri delle Finanze tutti sapevano e, in punto di diritto, Juncker ha di che difendersi. I tax ruling “sono una pratica comune agli stati membri”, ha detto la tosta Vestager (la serie televisiva danese “Borgen” è ispirata dall’ex ministra dell’Interno di Copenaghen). La stessa Commissione riconosce che sono strumenti utili, perché consentono alle imprese di sapere in anticipo quali regole fiscali sono applicabili, garantendo loro sicurezza giuridica. La concorrenza fiscale è uno strumento essenziale per spingere alcuni paesi a riformarsi. Ma, dopo quattro anni di austerità lacrime e sangue per i cittadini di mezza Europa, è sul piano politico e della credibilità che Juncker si trova nei guai. Il presidente della Commissione è stato l’artefice della trasformazione del Lussemburgo in un paradiso dell’ottimizzazione fiscale, oltre che uno strenuo difensore del segreto bancario, a danno delle casse degli altri stati membri. Sotto la sua autorità, un solo funzionario lussemburghese ha firmato migliaia di accordi fiscali, che hanno permesso a colossi globali di pagare l’1 per cento di tasse sui loro profitti realizzati in altri paesi. I principali beneficiari sono state le istituzioni finanziarie: in Lussemburgo gli attivi delle banche sono passati al 1.700 per cento del pil, ogni 21 abitanti c’è un impiegato di banca e il reddito pro capite supera i 100 mila euro. Lo stesso ministro delle Finanze del Gran Ducato ha dovuto riconoscere che “ciò che è legale oggi, forse non è più eticamente giustificabile”. Secondo Gramegna, “una situazione in cui le multinazionali pagano poco o nulla di tasse in un paese è insostenibile per il Lussemburgo, l’Unione europea e i contribuenti”.

 

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