Una manifestazione per Stefano Cucchi in supporto alla famiglia dello scorso anno (foto LaPresse)

Uso cinico della morte, pensaci Giornalista Collettivo

Giuliano Ferrara

Non voglio stupire nessuno né offendere il dolore, credetemi. Ma proprio non mi convince, anzi ne vedo una cinica malizia, questo uso ormai invalso nei giornali di pubblicare a raffica fotografie di cadaveri sfigurati dalla vita e (forse) dalle botte della polizia.

Non voglio stupire nessuno né offendere il dolore, credetemi. Ma proprio non mi convince, anzi ne vedo una cinica malizia, questo uso ormai invalso nei giornali di pubblicare a raffica fotografie di cadaveri sfigurati dalla vita e (forse) dalle botte della polizia. Metterci titoli sapidi che alludono al fatto che queste sono icone di assassinati dalle forze dell’ordine, e su questa base salvarsi perfettamente la coscienza e vendere copie ed emozioni a buon mercato, sulla pelle del dolore di familiari, esponendoli, esibendoli nella loro legittima ansia di giustizia, ma esponendoli in modo morboso, senza rispetto per la semplice verità, che in molti di questi casi è difficile a rivelarsi.

 

Ogni morto nelle mani dello stato giustiziere è una sconfitta della persona che muore, di chi lo ama, dei cittadini, e anche dello stato, dei criteri di democrazia liberale e di diritto che lo stato dovrebbe incorporare. Su questo non si possono avere dubbi. E’ una sconfitta anche della comunità civile, dove sono in pochi quelli che, alla Luigi Manconi o alla Adriano Sofri o alla Marco Pannella, accettano il rischio anche di sbagliare ma si danno da fare perché le cose emergano alla luce senza demagogia, di regola. Il diritto alla vita non conosce eccezioni, anche per le vite difficili, per i corpi e i sistemi nervosi difficili da controllare e custodire in un commissariato o in un ospedale o in un’azione di sicurezza per la strada, perfino per i criminali peggiori quando non sia vigente la pena di morte (che è comunque, almeno nelle democrazie liberali dove non funziona come una vendetta autoritaria, un percorso giuridico, non una falla nella capacità di tutela dello stato).

 

Ma il sistema dell’informazione certe volte se ne fotte allegramente, e per le spregevoli ragioni che ho richiamato all’inizio. Leggendo certe cronache, guardando i cadaveri tumefatti effigiati per impressionare ed emozionare il lettore, leggendo le cronache di certi processi che si vorrebbero sommari, in cui incriminazione e condanna degli agenti o del personale sanitario dovrebbero fare da prova di un pre-giudizio, di una condanna preventivamente pronunciata dal tribunale dell’opinione pubblica, si resta stupefatti di tanta avventurosa e baldante incomprensione del fatto doloroso, della sua caratura fuori dell’ordinario, della sua modalità particolare. Noi pubblicammo la testa decollata e caravaggesca di un ostaggio giustiziato, in nome dell’islam misericordioso, da bande di predoni che parlano in sua vece, ma lì non era pregiudizio e condanna preveniva del funzionamento di uno stato liberale, era un giudizio storico e politico al quale intendevamo sensibilizzare, dichiarandolo apertamente in tutta la nostra pubblicistica, l’opinione occidentale distratta e intimidita.

 

Per analogia, chi conduce queste campagne sul dolore, chi pratica questa informazione deturpata dall’uso del dolore, dovrebbe dichiarare che lo stato liberale in Italia è non già fallibile, il che è ovvio, ma strutturalmente fallito, che la polizia e i carabinieri menano i giovani per una impostazione ideologica o abitudine barbarica, che i giudici li mandano assolti per solidarietà di casta, che agenti e medici e infermieri coinvolti nei casi sono tutti colpevoli come sono ai nostri occhi colpevoli i fanatici che decapitano il nemico senza processo e con il Corano nella bocca. Ma se lo interrogassi, il Giornalista Collettivo mi risponderebbe che no, vuole solo riparare un torto e non è che lo si possa fare con scrupoli ipocriti, i torti si riparano gettando in pasto alla folla immagini di morte e di sofferenza che in sé non dimostrano alcunché, ma lasciano l’impressione di un delitto di stato, per di più quando questo sia non già escluso da un tribunale che assolve ma lasciato impunito da togati compiacenti.

 

Fa’ un po’ come ti pare. Ma pensaci, Giornalista Collettivo.
 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.