Da Soros a Londra

Il boicottaggio contro Israele vince. Chiuso lo stabilimento Sodastream in Cisgiordania

Giulio Meotti

Decisive le continue proteste antisraeliane davanti all'impianto e il boicottaggio dei suoi prodotti. In un’intervista al Wall Street Journal, l’ad Daniel Birnbaum ha spiegato che la produzione verrà trasferita entro la metà del 2015 nell’impianto di Lehavim nella parte meridionale di Israele.

Sodastream, l'azienda israeliana che produce bottiglie e apparecchi per realizzare acqua e bibite gasate in casa, ha annunciato che chiuderà gli stabilimenti in Cisgiordania a causa delle continue proteste antisraeliane davanti all'impianto e del boicottaggio dei suoi prodotti.

 

In un’intervista telefonica al Wall Street Journal, l’amministratore delegato di SodaStream Daniel Birnbaum ha spiegato che la produzione nella controversa fabbrica di Mishor Adumim verrà trasferita entro la metà del 2015 nell’impianto di Lehavim nella parte meridionale di Israele.

 

Non sono dunque bastate le spiegazioni che l’ad aveva fornito a inizio anno, quando aveva detto che l’impianto di Mishor Adumim e’ un problema ma anche una benedizione perché ci dà l’opportunità di fornire sostegno a migliaia di persone in un’area messa in ginocchio da un tasso di disoccupazione del 30% e di contribuire alla cooperazione e alla pace in una regione problematica. All’epoca, a peggiorare la situazione era stata la nomina di Scarlett Johansson ad ambasciatrice globale del marchio SodaStream, che andò ad aggiungersi a quello che l’attrice già ricopriva dal 2007 per conto di Oxfam Global, l’associazione non governativa che da sempre si oppone a tutti i tipi di attività commerciali, come quelle di SodaStream, che operano negli insediamenti israeliani definiti illegali in base alla legge internazionale. E così Johansson diede le dimissioni, subito accettate dall’organizzazione che aveva espresso le sue lamentele sulla scia di quelle sollevate da attivisti pro-palestinesi.

 

Di seguito l'articolo di Giulio Meotti uscito nel Foglio del 3 settembre 2014

 

Roma. Il boicottaggio di Israele sta per incassare la sua vittoria più importante. Qualcosa che vale di più dei proclami accademici e delle finte chiazze di sangue lasciate nei metrò di Bruxelles dagli attivisti filopalestinesi. Sodastream, la società israeliana leader nel mondo nei dispositivi in grado di trasformare l’acqua di rubinetto in acqua gassata in più di cento gusti, avrebbe programmato la chiusura del suo stabilimento principale in Cisgiordania. Lo aveva fatto intendere giorni fa Daniel Birnbaum, ceo della compagnia israeliana. Poi la notizia è apparsa sul principale giornale economico israeliano, il Marker.

 

A inizio anno, la società aveva avuto un momento di gloria dopo che l’attrice Scarlett Johansson era apparsa in una pubblicità della società al Super Bowl. La diva di Hollywood aveva rifiutato di cedere alle lusinghe dei nemici dello stato ebraico. Ma nell’ultimo mese, Sodastream ha visto una perdita dietro l’altra. Il colosso commerciale inglese John Lewis ha fatto sapere che non avrebbe più tenuto prodotti Sodastream. “L’azienda (John Lewis, ndr) ha stoccato in magazzino prodotti Sodastream negli ultimi quattro anni, ma alla luce del calo delle vendite abbiamo preso la decisione di non immagazzinare più la gamma di prodotti sopracitata”, avevano detto i dirigenti alla stampa britannica.

 

Gli attivisti del boicottaggio avevano organizzato picchetti di fronte a John Lewis, chiedendo alla catena di interrompere il commercio della gamma Soda Stream e ai consumatori di boicottarne i prodotti. Poi il Soros Fund Management, che gestisce gli investimenti del miliardario americano di sinistra George Soros, aveva venduto la sua partecipazione in SodaStream. Poi ha chiuso, sempre in Inghilterra, il centro commerciale Sodastream di Brighton. Ufficialmente Sodastream fa sapere che la chiusura della fabbrica in Giudea, territori palestinesi per la comunità internazionale, non ha nulla a che fare con il boicottaggio. E’ una decisione “politica” e la fabbrica si sposterebbe a Lehavim, fuori Beersheba, nel deserto del Negev. Di sicuro le aziende israeliane presenti nei Territori hanno subito un terrificante danno economico. Lo scorso 15 agosto, il canale 10 d’Israele aveva mandato in onda un servizio speciale dal titolo: “La vendita di prodotti israeliani in West Bank è calata del cinquanta per cento a causa del boicottaggio”.

 

La “nazista” Johansson - La chiusura del centro di Mishor Adumim è un colpo durissimo per l’immagine israeliana, non soltanto per Sodastream. E’ in quella fabbrica, nel cuore dei Territori, che ebrei e palestinesi da sempre lavorano fianco a fianco. Stessa paga, stessa mensa, stessi mezzi di trasporto: dei 1.200 lavoratori, 950 sono arabi israeliani e palestinesi, trecento gli israeliani.

 

Gli effetti del boicottaggio anti israeliano si sentono. Come riferisce il Nasdaq, dove Sodastream è quotata da anni, la compagnia ha perso il trenta per cento del fatturato in un anno e la vendita delle macchine per l’acqua è calata di oltre il cinquanta per cento.

 

La scorsa primavera, il ministro israeliano delle Finanze, Yair Lapid, aveva messo in guardia il suo paese: il boicottaggio può costare quasi sei miliardi di dollari a Gerusalemme. E tanti posti di lavoro palestinesi. Ma di questi, l’odio non si cura. “Quelle persone che hanno lanciato il boicottaggio con lo scopo di aiutarci in realtà ci hanno danneggiato”, ha detto alla stampa israeliana Nabil Bashrat, uno dei tanti arabi di Ramallah che lavora a Mishor Adumim. “L’azienda era fonte di reddito per centinaia di famiglie e interi villaggi. I boicottatori non hanno pensato alle conseguenze per le vite di tanti palestinesi che vivono qui”.

 

Pressioni continue sono fatte nei confronti di Scarlett Johansson perché abbandoni il suo sponsor con la stella di David. Lo scrittore e accademico Reza Aslan ha accusato l’attrice di essere una “nazista” perché aveva lavorato per gli israeliani. Due giorni fa il premio Nobel sudafricano, Desmond Tutu, ha invitato i fondi pensione occidentali a dismettere gli investimenti in Israele. Con il suo paese ha funzionato. Ora tocca al sionismo.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.