La guerra afghana finisce per gli inglesi, non per i talebani

Daniele Raineri

“Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo”: è il motto con cui i talebani scandiscono i ritiri degli occidentali. Le ironie sulle basi inglesi (“Butlins” e “Lash Vegas”), la cerimonia rimasta segreta fino all’ultimo e la promessa del Mullah Omar che per ora continua a mantenre.

Roma. Raccontano i corrispondenti Reuters che ieri per la prima volta i soldati afghani hanno controllato da soli il perimetro e sono saliti a montare la guardia sulle torrette di sorveglianza della “Butlins”, come i soldati inglesi chiamavano con sarcasmo la grande base militare di Camp Bastion nell’Afghanistan del sud. Da adesso i militari locali “non hanno più la rete di sicurezza offerta dalla presenza del contingente occidentale” nella regione di Helmand, una delle più grandi e anche delle più violente del paese (940 soldati occidentali sono morti là, su un totale di 3.476).

 

“Butlins” è il nome di una catena famosa di villaggi vacanze inglese e quell’installazione militare afghana offriva fino a pochi giorni fa una serie di benefit molto invidiati da chi doveva vivere negli avamposti più piccoli e pericolosi sparpagliati attorno (che sono già stati abbandonati in precedenza) ed è stato il sito dove per un periodo di tempo ha servito come elicotterista anche il principe Harry.

 

Le gelaterie, le palestre e le sale giochi di Camp Bastion erano l’adattamento naturale dell’esercito britannico per resistere a un impegno in Afghanistan a lunghissimo termine, che domenica è finito con una cerimonia ufficiale di ammainabandiera in tono ridotto. Dopo avere passato agli afghani l’altra base gemella di Lashkar Gah a febbraio (detta anche “Lash Vegas” per lo stesso motivo, il sarcasmo dei più sfortunati), gli ultimi soldati inglesi sono decollati lunedì e così hanno fatto anche i marine americani dal vicino Camp Leatherneck (la missione americana però continua in altre regioni dell’Afghanistan). Ora Helmand è tornata interamente sotto la responsabilità degli afghani – con tutti i talebani che contiene. Se i soldati del governo di Kabul finiranno nei guai negli scontri diretti potranno ancora chiedere soccorso agli aerei e agli elicotteri Nato che però sono posizionati in un’altra regione più a est, a Kandahar. In teoria, i velivoli resteranno a disposizione fino a quando le forze aeree afghane saranno pienamente autosufficienti, nel 2016.

 

La fine della presenza inglese e americana a Helmand segue un calendario politico deciso molto tempo fa (tra l’altro cade vicino alle elezioni americane di mid-term della settimana prossima) e non i fatti militari che accadono sul terreno. Quest’anno in Afghanistan sono morti più di quattromila soldati afghani e ad agosto c’è stato il picco annuale dei bombardamenti Nato: non si può dire che la situazione abbia imboccato la strada del miglioramento. Persino la data di questa cerimonia di consegna agli afghani è rimasta un segreto fino all’ultimo, per ragioni di sicurezza.

 

L’inviato della Bbc Mark Urban, che è un insider di quell’ambiente, ieri ha detto che le forze speciali inglesi hanno fatto pressione per fare restare uno squadrone di uomini in Afghanistan per eventuali operazioni mirate contro i guerriglieri. La permanenza dei commando inglesi oltre il limite non è per nulla certa a causa dell’altra grande crisi, quella aperta dallo Stato islamico in Iraq e Siria – dove comanda Abu Bakr al Baghdadi, che si definisce Amir ul Momineen, “capo dei credenti” proprio come il mullah Omar leader dei talebani. La Gran Bretagna dei tagli cospicui al budget della Difesa trova arduo affrontare due emiri in una volta sola.

 

[**Video_box_2**]Nel 2010 Helmand fu teatro del “surge” di truppe deciso dal presidente americano Barack Obama, per emulare la breve stagione della stabilità in Iraq (l’esempio iracheno incombe sempre su chi deve prendere decisioni in Afghanistan). La decisione non ebbe lo stesso successo, per tanti motivi. Uno è che l’Amministrazione annunciò in contemporanea con l’invio di migliaia di soldati a Helmand anche il calendario del ritiro, vanificando il senso dell’operazione davanti a un nemico che dice “voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo”. I talebani semplicemente si segnarono il traguardo temporale oltre il quale sopravvivere e cantare vittoria. Un altro motivo dell’insuccesso è che Helmand ha un confine lunghissimo in comune con il Pakistan, da cui passano i guerriglieri che non riconoscono la linea di demarcazione tra i due paesi, la linea Durand – che loro chiamano: la linea zero. Quattro anni dopo il surge, la regione meridionale è ancora la meno sicura del paese.

 

“Stanno filando via” - L’Amministrazione Obama dette grande risalto al ritiro dall’Iraq nel 2011, presentato ai media come il mantenimento di una promessa elettorale. Questa volta, la Casa Bianca non ha rilasciato dichiarazioni, nemmeno una menzione su Twitter, anche se il ritiro da Helmand è senz’altro un fatto strategico. “Non guardate proprio adesso, ma i marine e gli ingesi stanno filando via dalla roccaforte dei talebani”, titolava due giorni fa il sito di Foreign Policy. Il timore è che anche in Afghanistan finisca come in Iraq, dove la fine prematura della presenza militare ha spalancato le porte al ritorno della guerriglia islamista. I giornali britannici hanno dato invece grande evidenza alla fine della “Quarta guerra afghana”, con toni più o meno solenni. Il Daily Mail ha notato che “non resta alcuna traccia”: persino i monumenti che ricordano la morte di 453 soldati inglesi sono stati smantellati, per evitare la possibilità che siano dissacrati in futuro.

 

L’Afghanistan è un paese diverso rispetto all’ottobre del 2001, quando cominciò la guerra. Il pil è aumentato di otto volte, i telefonini coprono il 90 per cento del territorio e i talebani parlano sui social media. Ieri su internet i simpatizzanti dei talebani annunciavano un messaggio di Omar, che secondo le anticipazioni celebrerà “la ritirata umiliante degli inglesi”. Per ora sta tenendo fede all’intervista che rilasciò nell’ottobre 2001 a “Voice of America”. La guerra era appena cominciata e Omar disse: “La promessa di Allah è che la mia terra è vasta e protegge chi cammina sul sentiero di Dio. La promessa di Bush è che non c’è posto sulla terra dove posso nascondermi. Vedremo quale promessa sarà mantenuta” (ma i ranghi talebani sono scontenti della sparizione virtuale del leader e dei suoi interminabili silenzi per non farsi individuare e ci sono lotte interne, per ora non gravi).

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)