Un lagunare italiano durante la missione "Antica Babilonia" in Iraq nel 2004 (foto LaPresse)

Pronti 280 militari italiani per i curdi, l'America non parla ai ribelli siriani

Daniele Raineri

Il governo italiano manda 280 militari in Iraq, nella regione di Irbil, per addestrare i curdi che combattono contro lo Stato islamico, ha annunciato ieri il ministro della Difesa Roberta Pinotti. L’impegno italiano, che era stato anticipato sul Foglio la settimana scorsa, fa parte di una missione ampia.

Roma. Il governo italiano manda 280 militari in Iraq, nella regione di Irbil, per addestrare i curdi che combattono contro lo Stato islamico, ha annunciato ieri il ministro della Difesa Roberta Pinotti. L’impegno italiano, che era stato anticipato sul Foglio la settimana scorsa, fa parte di una missione più ampia che potrebbe vedere fino a mille addestratori della Nato impegnati in Iraq per ricostruirne l’esercito (che  da giugno in poi si è praticamente dissolto davanti all’avanzata del gruppo di Abu Bakr al Baghdadi).

 

Irbil è una delle regioni irachene tutto sommato a rischio minore, rispetto a quello che sta succedendo nel governatorato di Anbar, che sta cadendo per intero nelle mani dei jihadisti, o alla zona attorno a Baghdad. La capitale del paese non sta per cadere, come talvolta si sente dire, perché a differenza di altre città irachene contiene un blocco enorme di combattenti di fede sciita determinati a non cedere. E nemmeno ha molto senso dire che lo Stato islamico è a 20, 15, 10… chilometri dalla capitale, perché è da tempo che si muove attorno a Baghdad, tanto da avere circa 2.500 uomini già dentro (secondo informazioni prese sul campo da Reuters), come dimostrano gli attentati quotidiani.

 

L’annuncio di Pinotti arriva nel corso di un processo frenetico che sta definendo i ruoli all’interno della Coalizione internazionale contro l’Is, e a capo del processo c’è l’americano John Allen. E’ un ex generale dei marine nominato dal presidente Obama inviato speciale per la lotta allo Stato islamico e ieri ha fatto parlare molto gli addetti ai lavori perché ha detto che non c’è ancora nessun coordinamento formale con l’Fsa, sigla internazionale che indica il Jaysh al Hur, l’esercito della libertà siriano. Con Fsa ormai s’intendono i rimasugli sparuti e disorganizzati delle prime fazioni che si opposero al presidente Bashar el Assad nel 2011, ormai rimpiazzati da organizzazioni più efficienti come il Fronte islamico (da non confondere con lo Stato islamico) o più pericolose, come la Jabhat al Nusra.

 

[**Video_box_2**]L’agenzia McClatchy ieri ha interpretato le parole del generale come un abbandono definitivo dei ribelli siriani, con l’obiettivo di creare una nuova forza autonoma, formata da zero con siriani che saranno selezionati e addestrati per fare la guerra soprattutto contro lo Stato islamico di Abu Bakr al Baghdadi – Allen non cita Assad. Non è così, ma l’ex generale americano è così vago sui tempi, che saranno comunque lunghi, da far sembrare l’appoggio ai ribelli siriani ancora un programma vuoto. Del resto, “l’emergenza in Iraq è il primo dei nostri pensieri”, ha detto.

 

Sebbene nei giorni scorsi gli americani avessero definito “non prioritaria” la salvezza del cantone di Kobane, dove i curdi resistono all’assedio dello Stato islamico, negli ultimi tre giorni i jet americani hanno effettuato 53 missioni di bombardamento proprio a Kobane e hanno ucciso centinaia di jihadisti. Complice il maltempo, i raid americani sull’Iraq sono stati nello stesso intervallo di tempo soltanto sei. Il Pentagono smentisce di avere agito “a causa dell’attenzione dei media su Kobane”.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)