Obama, Vice e gli altri. I millennial leggono i nuovi siti di news, ma non tutto è perduto

Piero Vietti

Giovedì scorso il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha pubblicato un lungo post in cui si dice pronto a scommettere sui millennial (i nati dal 1980 in poi, la generazione cresciuta – chi più chi meno – con internet, smartphone e wi-fi) per dare forma alla nuova economia del paese. L’articolo è scritto in prima persona e indirizzato all’indistinto “you” dei millennial americani.

Giovedì scorso il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha pubblicato un lungo post in cui si dice pronto a scommettere sui millennial (i nati dal 1980 in poi, la generazione cresciuta – chi più chi meno – con internet, smartphone e wi-fi) per dare forma alla nuova economia del paese. L’articolo è scritto in prima persona e indirizzato all’indistinto “you” dei millennial americani.

 

L’operazione (che puzza di campagna elettorale fin da subito) è in perfetto stile obamiano, ancorché un po’ goffa per i molti luoghi comuni usati nell’articolo: le sue righe compaiono infatti su Medium, sito cool per condividere idee e storie personali molto frequentato dai millennial. Non sul sito della Casa Bianca, né sul New York Times. Obama e il suo staff infatti sanno bene che la dieta informativa dei quindici-trentaquattrenni è cambiata radicalmente negli ultimi anni. Vox, BuzzFeed, Vice, Fusion e molti altri siti come questi si stanno accaparrando quote sempre più grandi del mercato millennial: come spiegato in una lunga analisi sul sito di Nieman Lab, questa generazione è ormai la fetta più consistente della popolazione americana, e solo negli Stati Uniti spenderà circa 200 miliardi di dollari da qui al 2017. Loro sono il nuovo target di pubblicitari ed editori, che non possono più pensare di puntare sulla tv per raggiungere un mondo che ha punti di riferimento nuovi e mutevoli. Vice, BuzzFeed, Vox: agli over 35 forse questi nomi dicono poco, ma sono tra i primi siti per percentuale di lettori millennial in America. Time, Guardian e New York Times vengono dopo, comunque inframmezzati da altre pubblicazioni online non tradizionali. Una bolla? Nessuno può dirlo con certezza, ma mentre testate storiche tagliano personale e rivedono il loro modo di lavorare, questi siti raccolgono milioni di dollari da investitori convinti che per arrivare ai millennial si debba passare da lì.

 

[**Video_box_2**]Il mercato, scriveva Ken Doctor sul sito di Nieman Lab, è abbastanza grande per fare sopravvivere a lungo queste nuove realtà. Anche perché se è vero che questa nuova generazione si sente lontana dalle istituzioni, in gran parte non si sente anti establishment, dato che continua a informarsi su testate e tv già frequentate dalle generazioni più vecchie. Non è dunque questione di vecchi o nuovi editori, ma di chi meglio sa raggiungere questo pubblico sempre più numeroso con un’offerta digitale all’altezza: allergici alla carta, e in generale alle notizie troppo statiche, i millennial sono lettori più attenti dei loro fratelli maggiori: al momento rappresentano il 30 per cento degli utenti totali di internet, ma ben oltre il 30 per cento dei frequentatori abituali di siti di news. Si sentono orgogliosamente “digitali” e stanno diventando, per molti editori impermeabili ai cambiamenti, una sfida complicata da affrontare ma potenzialmente molto remunerativa. Diversi investitori usano il digitale per costruire un pubblico affezionato e occupare nuovi spazi. Non è un caso che sempre più giornali stiano decidendo di pubblicare prima le notizie online e poi sul cartaceo, né che tra le testate tradizionali che più sperimentano sul digitale ci sia il Washington Post di Jeff Bezos, il fondatore di Amazon.

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.