“Nella teologia del matrimonio abbiamo avuto molte scivolate superficiali e altrettanti scivoloni spudorati”

Parla un Grillo intelligente

Marco Burini

Andrea Grillo, teologo d’avanguardia nega le inflessibilità e giudica buona per i cimiteri la proposta di Ferrara. "Va bene il lato profetico, contro il giuridicismo o legalismo, ma il matrimonio è anche istituzione, e ci va una regola dei cristiani".

La chiesa non prende mai alla lettera il Vangelo, altrimenti non saremmo qui a parlare di un Sinodo straordinario sulla famiglia. Tempo fa era stata messa in cantiere un’assemblea dei vescovi su Gesù e l’uomo d’oggi – come dire tutto e niente – ma Bergoglio, appena eletto Papa, ha pensato bene di andare sul concreto: la famiglia, dunque, con tutti gli annessi e i connessi. Eppure, osserva il teologo Elmar Salmann, “la famiglia e il matrimonio non si trovano per niente al centro della predicazione e della considerazione di Gesù, anzi vengono marginalizzati in nome della logica della sequela che fa saltare gli assetti della società perbene”. Questa non è la prova che a fondare la chiesa non sia stato Gesù ma Paolo, come direbbe il teologo della domenica Scalfari, ma la spia di una distanza – tra Regno e chiesa, tra profezia e istituzione – che non si può annullare. Ne va della nostra pelle.

 

La posta in gioco non è, come si usa dire, alta. Di più. Stavolta sul banco c’è tutto: affetti, legami, sesso, corpi – e un’istituzione che non fa più presa (parliamo di chiesa o di matrimonio? è lo stesso). Tutto da leggere, a questo proposito, il dialogo tra il benedettino tedesco Salmann e un suo brillante allievo italiano, Andrea Grillo, nel numero del 14 settembre di Settimana, la rivista di “attualità pastorale” dei dehoniani di Bologna (da quando la dirige padre Lorenzo Prezzi dà una pista alla sorella maggiore, il Regno). Con Grillo, del quale poco tempo fa ho presentato su queste pagine “Indissolubile?”, pamphlet che riprende e supera la proposta Kasper per i divorziati risposati (in esplicita polemica con Roberto de Mattei e il suo saggio nel Foglio), cerco di approfondire alcuni spunti offerti da questi giorni di vigilia del sinodo. Giorni piuttosto movimentati tra cardinali frondisti, vescovi pedofili e giornalisti che si dilettano di teologia.

 

In fondo, dico a Grillo, io sto con Salmann quando sostiene che “finora la chiesa non ha trovato né il linguaggio né la gestione giusta per accompagnare e per benedire le coppie e la vita reale”, una chiesa tuttora incastrata in un “assetto ontologico-giuridico-sacramentale” che lascia in ombra l’aspetto escatologico: matrimonio segno dei tempi. Tu, invece, dai ancora una chance alla capacità di autoriforma dell’istituzione. “A me pare che una delle carenze maggiori della recente teologia cattolica del matrimonio sia proprio la delicata mediazione tra diversi livelli della esperienza e delle questioni – mi risponde Grillo – Se da un lato non posso che essere d’accordo con l’esigenza di maggiore forza profetico-escatologica della teologia matrimoniale, non vorrei mai che questo avvenisse a discapito della dimensione giuridica. Anzi, io direi, d’accordo con il vescovo domenicano di Oran, che oggi patiamo non per un’esagerazione ma per un deficit giuridico. Potrà suonarti strano, ma oggi la chiesa manca di una legge adeguata. Qui io non sarei per nulla pessimista”. Però secondo me non basta un papa pieno di buona volontà e un sinodo strutturato secondo le vecchie logiche di rappresentanza per cambiare passo. Da dove dovrebbe saltar fuori il linguaggio che accompagna e benedice? Da un’estenuante trattativa tra realisti (pochi e titubanti) e nostalgici (molti e agguerriti)? Da una pressione dell’opinione pubblica ecclesiale (inesistente)? La constatazione che il matrimonio è in crisi e non si può fare finta di nulla – che pare il grande guadagno della stagione bergogliana – a ben guardare è tautologica, statica. “Ma non è un immaginario politico a poterci tornare utile – ribatte Grillo – Chi avrebbe potuto immaginare che il conclave, dati gli elementi politicamente in ballo, potesse solo per un attimo pensare di votare Bergoglio? Eppure è accaduto. A questo scopo anche le tautologie sono tutt’altro che statiche: aiutano a prendere atto della realtà e delle deficienze dei criteri con cui cerchiamo di intercettarla e di entrare in dialogo con essa”.

 

Senza dubbio, come fai notare nella tua conversazione con Salmann, il matrimonio è il sacramento più storico, il più poroso di fronte alla realtà; forse per questo è stato codificato tardi dalla chiesa. Ma il trattamento legalistico che ci ostiniamo a riservargli ci ha ficcato in un cul-de-sac dal quale sarà difficile uscire. Al limite impossibile, se è vero quello che sostiene Salmann: “La legge è la categoria meno adatta per definire queste relazioni”. “Un sacramento non solo poroso ma strutturalmente composito – mi fa notare Grillo – Ciò che non è chiaro è che il matrimonio, in quanto tale, non è posto ma ricevuto dalla chiesa. E la chiesa lo riceve non in una forma immutabile e metastorica ma ben piantato in una storia di soggetti e di comunità che evolvono continuamente. La pretesa di fondare il sacramento su una struttura antropologica e sociologica invariabile è una illusione, dovuta a una cattiva teologia. Eppure, in una tale teologia, la categoria di legge, pur essendo subordinata alla categoria di dono e di grazia, non può essere assente. Altrimenti non è matrimonio!”.

 

[**Video_box_2**]In compenso, manca una fenomenologia del desiderio all’altezza del discorso di fede. La può imbastire un manipolo di celibi più o meno ben intenzionati? Sinceramente non ho l’impressione che le gerarchie vogliano mollare la presa sul matrimonio, o meglio sull’alleanza tra due persone. Magari dello stesso sesso: la questione genere/sesso va riscritta anche da questo punto di vista, senza temere lo spettro di Judith Butler ma piuttosto rileggendo qualche pagina di Ivan Illich. In alternativa, basta adottare la “modesta proposta” di Ferrara: continenza perpetua, ovvero scambio sesso-eucarestia, nel caso estensibile agli omosessuali, e morta lì. “Qui bisogna distinguere bene due piani – replica Grillo – Da un lato abbiamo bisogno di capire come il desiderio è mutato a partire dalla società aperta. La nostalgia per società chiuse, che preselezionavano i desideri ammissibili, è ancora una presenza inquietante nel corpo ecclesiale. Ma non è detto che sia prevalente soltanto in ambito clericale. La nostalgia laicale non è affatto marginale. E questo è un male. Insieme alla tentazione ecclesiale di autocomprendersi come un soggetto che detiene potere. Che l’alleanza tra due persone possa passare altrove rispetto alla loro coscienza – certo mediata da cultura, istituzioni e leggi – questo mi pare un ideale premoderno privo dei minimi requisiti per riuscire a essere qualcosa di diverso da un principio astratto o da una provocazione a effetto. La proposta di ‘continenza perpetua’ assomiglia all’ideale utopico di ‘pace perpetua’ che già Kant sapeva bene riguardare soltanto… i cimiteri. Se la chiesa si illudesse di poter tenere la presa sulle alleanze tra soggetti costruendo sistemi ontologici blindati o restaurando normative inflessibili, non avrebbe convocato un sinodo e non si sarebbe messa in condizione di dialogo. Anche se a qualcuno questo dà fastidio. Perché rovina una immagine soltanto politica di chiesa che la tradizione ci ha obbligato da un secolo a modificare. Per farlo occorre pazienza, senza fughe in avanti e senza ostinati ostruzionismi in nome di una presunta tradizione che ne risulterebbe sfigurata”, conclude il teologo del Sant’Anselmo.

 

In realtà la proposta di Ferrara (sessione penitenziale e castità per i divorziati risposati che vogliano fare la comunione) richiama da vicino la “Familiaris Consortio” di Giovanni Paolo II, uno dei testi fondamentali che apre il pontificato di Wojtyla (1981). A me pare un po’ astratta e ricalca il cliché di una chiesa padrona in camera da letto. “Credo che la fatica di configurare una soluzione semplice e una ‘modesta proposta’ alla questione dei divorziati risposati dipenda, propriamente, dalle debolezze della teologia matrimoniale degli ultimi cinquant’anni. La teologia è debole non perché cede alla attualità ma perché non riesce a interpretarla correttamente. Così, esattamente come faceva ‘Familiaris Consortio’, anche per Ferrara la questione è il ‘doppio rapporto sessuale’. Ed entrambe le prospettive configurano una soluzione che, letteralmente, nega la realtà. Il presupposto è che la ‘nuova unione’ non può e non deve essere. Per questo la soluzione del problema del matrimonio diventa il consiglio del ‘celibato’. E’ molto significativo che questo derivi da una teologia del matrimonio in negativo, ossia fissata dall’idea disciplinare del ‘peccato’ di una ‘nuova unione’, assimilata a un adulterio continuato. Ma queste categorie non interpretano più le esperienze (cristiane) di molti uomini e molte donne, che meriterebbero una proposta forse meno modesta”, osserva Grillo.

 

A proposito di categorie, “Familiaris Consortio” sembra oscillare tra una riflessione dogmatica e disciplinare rigida, a rischio surgelamento, e una “mistica nuziale” che riprende la tradizione del matrimonio come figura del rapporto Cristo-chiesa e la surriscalda pericolosamente. Mistica nuziale esaltata dal poeta-fenomenologo Wojtyla e volgarizzata dai suoi uomini dell’Istituto Giovanni Paolo II (nessuno dei quali, ha subito evidenziato Sandro Magister, è stato invitato al sinodo). “Non facciamo confusione – mi risponde Grillo – ‘Familiaris Consortio’ è un documento complesso nel quale si fondono due linee, una di mistica nuziale e una di disciplina pastorale, e su entrambi i fronti il documento presenta anche aperture significative. Ciò che è obiettivamente rischioso è pensare che l’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II sia la summa dell’insegnamento magisteriale e papale del XX secolo e che risulti quasi irriformabile. E che la confusione tra livello della mistica nuziale e livello della disciplina giuridica non crei cortocircuiti pericolosi nei quali, alla fine, un’astrazione finisce per determinare ogni normativa. Questo è un difetto della teologia del matrimonio postconciliare, talvolta assai accentuato”.

 

Tu parli esplicitamente di “difetto di tradizione”. Ma il sinodo è attrezzato per assecondare “la logica delicata e la trama complessa” del matrimonio? Il questionario distribuito alle chiese locali ti pare uno strumento adeguato? “Non vi è dubbio che la teologia matrimoniale abbia conosciuto un difetto di tradizione lungo tutto il XX secolo. Proprio perché perdeva il proprio oggetto nella sua concretezza e lo idealizzava invece pericolosamente. La teologia deve essere sempre radicale e pudica. Nella teologia del matrimonio abbiamo avuto molte scivolate superficiali e altrettanti scivoloni spudorati. A me pare che sia stata una buona idea che il sinodo si mettesse in ascolto della realtà. E il questionario era e rimane uno strumento prezioso. Certo, spesso le buone risposte dipendono da buone domande. Nel questionario alcune domande sono formulate obiettivamente male, tradiscono una certa diffidenza nei confronti dell’interlocutore. Ma credo che questo non sminuisca la bontà della intuizione. Che è anche una dichiarazione su come si fa buona teologia e pastorale: mettendosi in ascolto, di Dio e dell’uomo”.

 

Ultimamente tutti, almeno tra gli onesti, sostengono che senza una vera fenomenologia del quotidiano non si va da nessuna parte: partire dai dati di realtà, dalle situazioni concrete, dai numeri nudi e crudi, ecc. Ma non c’è il rischio di fare troppa sociologia e poca teologia? L’accumulo di dati non copre la mancanza di riflessione? E che impressione ti fa lo sparuto gruppo di laici cooptati per l’occasione? “Su questo punto bisogna essere del tutto chiari – dice Grillo – Non si può fare una buona teologia del matrimonio solo ontologicamente o metafisicamente. Questo è il difetto di tradizione peggiore di tutti gli altri. Ci siamo abituati a una teologia del matrimonio fatta di deduzioni o di norme. Questa è oggi una strada chiusa. E chi si ostina per questa via finisce in una autoreferenzialità pericolosa e disperata. Questo, evidentemente, richiede non solo dati ma riflessioni adeguate. Il sinodo da un lato si aspetta buone riflessioni ma dall’altro potrà e dovrà anche dare da pensare”.

 

Ma la commissione istituita da Francesco per lo snellimento delle cause di nullità non rischia di premiare tatticismi ed escamotage piuttosto che sgomberare il campo in vista del dibattito sinodale? “No, io sono di tutt’altro avviso. Di fronte a una questione con conseguenze così articolate come quella dei divorziati risposati bisogna lavorare, contemporaneamente, su diversi fronti. Anche il fronte giuridico-canonico è inevitabilmente coinvolto e deve esserlo. Il fatto che, in anticipo sul sinodo, sia stata costituita la commissione per la riforma del processo canonico matrimoniale potrebbe significare due cose importanti: che il sinodo avrà la sicurezza che quell’aspetto è già oggetto di sollecitudine magisteriale; e che, per questo, potrà occuparsi delle altre questioni, pastorali e teologiche, senza esaurire il proprio slancio soltanto sul livello disciplinare. Per questo, quando ho sentito la notizia, ho ritenuto che questa decisione cadesse a favore di un sinodo veramente libero di affrontare con serenità e con profondità tutti i temi emergenti della pastorale matrimoniale contemporanea”, conclude Grillo.