Ali Khamenei (foto Ap)

Uomini chiave a Baghdad

Un marine, un playboy, un ammiraglio e un pasdaran: tutti per l'Iraq

Daniele Raineri

Ali Khamenei accusa l’Amministrazione Obama: “Ci chiedete aiuto in Iraq, vi diciamo no e negate davanti al mondo”.

Roma. La Guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei, lascia l’ospedale dopo un’operazione alla prostata e nella prima intervista (e su Twitter) sostiene che l’America ha chiesto in segreto aiuto a Teheran contro lo Stato islamico. Khamenei dice che l’Iran respinge la collaborazione con Washington. “Il loro ambasciatore in Iraq l’ha proposta al nostro ambasciatore. Il loro segretario di stato (John Kerry) ha chiesto personalmente questo aiuto al ministro degli Esteri Javad Zarif e il vice, che è una femmina (si riferisce presumibilmente al sottosegretario di stato Wendy Sherman), lo ha chiesto ad Abbas Aragchi (viceministro degli Esteri iraniano) durante i negoziati sul nucleare. Dopo aver ricevuto il nostro no, gli americani hanno detto davanti a tutto il mondo: ‘Non chiederemo aiuto all’Iran’”. Khamenei aggiunge: “Quando ero nel mio letto d’ospedale, il mio passatempo era seguire le dichiarazioni americane sulla guerra allo Stato islamico: inutili, vuote e dettate dalle loro trame di politica estera. Il fatto che abbiano dichiarato che non vogliono lavorare con noi è motivo di orgoglio, non di delusione”.

 

Da Parigi, dove ieri è cominciata una conferenza con delegati di venti paesi – da cui l’Iran è stato escluso – per decidere cosa fare contro il gruppo di Abu Bakr al Baghdadi, John Kerry smentisce la Guida Suprema e ribadisce che gli Stati Uniti non chiedono appoggio al governo di Teheran. La Casa Bianca minimizza: “Soltanto conversazioni ‘backchannel’ su un interesse comune”. Tuttavia sul campo, in Iraq, c’è già il germoglio di una collaborazione oggettiva e inevitabile tra americani e iraniani, come ha dimostrato la battaglia nella città di Amerli due settimane fa, dove i bombardamenti americani dall’alto hanno aperto la strada alle milizie sciite armate da Teheran e appoggiate da consiglieri militari dell’Iran. Ci sono video del generale iraniano Qassem Suleimani che balla nelle strade di Amerli dopo la vittoria propiziata dagli F-16 americani. Il generale è il capo delle forze speciali dei pasdaran ed è la nemesi di Washington in medio oriente.

 

Se queste accuse della Guida Suprema fossero vere, “ci chiedete di collaborare e poi quando rispondiamo no negate davanti al mondo”, sarebbe tutto materiale per i commentatori che criticano l’Amministrazione Obama perché si è impantanata in una relazione ambigua con Teheran. La tesi è che Washington in questi anni ha sacrificato ai negoziati sul dossier nucleare dell’Iran ogni altra questione mediorientale – la crisi in Siria, il ritorno dell’Iraq allo stesso livello di violenza di dieci anni fa, il dossier palestinese. Per non mettere a repentaglio la campagna per ottenere uno storico alt al programma di armamento iraniano, non si è voluto trattare a fondo su altro. Questa lista delle priorità rispettata con cocciutaggine non ha funzionato: i negoziati con l’Iran sono ora più incerti che mai e gli altri problemi stanno diventando incontenibili. Prima però di domandarsi se un’Amministrazione americana che chiede aiuto all’Iran ed è respinta può ancora negoziare con efficacia, va considerato che le affermazioni della Guida Suprema sono state smentite dal capo del dipartimento di stato. Ali Khamenei sostiene anche la tesi  – tra il risibile e l’allarmante – che lo Stato islamico è una creazione dell’America.

 

[**Video_box_2**]Il ritorno del generale Allen
Se è vero, come scrive il Washington Post, che l’ascesa dello Stato islamico è sopravvalutata (lo scrive su un giornale israeliano anche l’ex generale dell’intelligence militare di Gerusalemme, Amos Yadlin), un effetto straordinario l’ha avuto in Iraq. Americani e iraniani sono per il momento schierati dalla stessa parte e competono per l’attenzione del neo governo di Baghdad. Quattro sono le figure chiave. Una è l’ex generale John Allen, che Obama ha nominato inviato speciale per la Coalizione contro lo stato islamico. Allen comandò tra il 2006 e il 2008 i marine americani impegnati nel governatorato iracheno di Anbar, l’area più difficile del paese a eccezione della capitale, dove gli americani soffrirono il maggior numero di perdite, incubatrice del gruppo di Baghdadi (che infatti si costituì in Stato islamico per la prima volta a Ramadi, capoluogo di Anbar, nell’ottobre 2006) e confinante con la Siria. Il generale si adattò a negoziare laboriosamente con i clan locali sunniti per ottenerne l’amicizia contro la guerriglia. Il nuovo incarico di Allen può essere considerato una riproposizione di quello vecchio, su larga scala: coordinare dieci paesi arabi a maggioranza sunnita – alcuni dei quali si odiano fra loro, come Arabia Saudita e Qatar – per farli lavorare in una coalizione e al servizio del governo sciita di Baghdad contro una minaccia comune.

 

L’ex generale Allen ha pubblicato a metà agosto un breve articolo sul sito specializzato DefenceOne e alcuni passaggi sono particolarmente eloquenti, letti adesso e considerato il ruolo che gli è stato assegnato. Allen sostiene la necessità di colpire il gruppo di al Baghdadi “come soltanto gli Stati Uniti sanno fare: improvvisamente, rapidamente, chirurgicamente”. Sulla Siria scrive: “Gli sforzi contro l’Is devono partire a est da Mosul e penetrare in tutto il suo territorio dentro la Siria occidentale. A questo proposito, ‘la sovranità nazionale’, intesa come controllo dello spazio aereo e del territorio, è un concetto che non dovremmo applicare al regime del presidente Bashar el Assad. La Siria è uno stato fallito incapace di comportarsi come un’entità sovrana e di meritarsi rispetto. Non possiamo lasciare allo Stato islamico un asilo sicuro in nessun luogo né una piattaforma dove raggrupparsi né un santuario sulla linea di confine, ormai irrilevante, tra la Siria e l’Iraq”. Sulla necessità dei “boots on the ground”, quindi di mandare truppe di terra americane: “Curdi, sunniti iracheni e la resistenza siriana saranno i boots on the ground necessari al successo in questa campagna”.

 

L’altro americano è il giovane inviato Brett McGurk, sopravvissuto a un presunto scandalo sessuale nella Zona verde che gli ha sbarrato la strada per diventare ambasciatore. Obama ha deciso comunque di tenerlo a Baghdad per la sua esperienza nel trattare con i politici iracheni, con il titolo di inviato. E’ stato McGurk a tenere i rapporti con il premier Nouri al Maliki negli anni del dopo ritiro.

 

Anche l’Iran ha due uomini chiave, sono nuovi e se le notizie che arrivano da Teheran sono vere è in corso una rivoluzione. Uno è il generale Ali Shamkhani, che da quest’anno ha la responsabilità di tenere i briefing sull’Iraq davanti all’Assemblea degli esperti – al posto del già citato Qassem Suleimani, comandante delle Forze Quds (la divisione dei pasdaran che si occupa delle operazioni all’estero) e architetto della politica iraniana in Siria e Iraq. Shamkhani, conosciuto come “l’Ammiraglio”, è di etnia araba (una rarità a quel livello gerarchico) e negli ultimi due anni ha fatto un lavoro cruciale nello stemperare le tensioni con i paesi arabi del Golfo. L’altro è Hossein Hamadani, capo delle Forze Quds in Iraq, anche lui prende a Baghdad il posto del suo superiore Suleimani, affondato assieme al premier Maliki. Che l’apparizione pubblica del generale Suleimani – temuto un tempo per la discrezione spettrale – mentre danza in pubblico in Iraq sia un messaggio ai suoi rivali a Teheran?

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)