Barack Obama (foto LaPresse)

Le ragioni religiose dell'America che sostiene la guerra di Obama

Il presidente dice che lo Stato islamico “non è islamico”, ma gli americani non sono d’accordo. Un anno fa il settanta per cento era contrario a bombardare il dittatore siriano, oggi la stessa percentuale appoggia la guerra. E’ il ritorno della “guerra fondamentalmente religiosa” di Bin Laden.

New York. Un anno fa, i sondaggi dicevano che il settanta per cento degli americani era contrario a un intervento militare contro il regime di Bashar el Assad, il quale pure era ritenuto a larghissima maggioranza un barbaro dittatore responsabile di avere usato armi chimiche contro il proprio popolo. Oggi il settanta per cento degli americani è favorevole a un attacco contro lo Stato islamico. Il rovesciamento delle convinzioni sulla guerra in medio oriente prova innanzitutto che assegnare all’opinione pubblica americana un generico sentimento isolazionista figlio dell’avventurismo della “guerra globale al terrore” di Bush e Cheney, che impone di stare fuori dagli affari altrui a prescindere dalle motivazioni dello scontro e dalla natura del nemico è operazione almeno frettolosa. La vulgata giornalistica sostiene che il brutale fondamentalismo che lo Stato islamico esibisce con mortifera teatralità – culminato nelle decapitazioni dei due giornalisti americani, James Foley e Steven Satloff – ha creato quell’onda emotiva di disgusto che il tiranno in cravatta Assad non aveva suscitato. Pura questione di percezione, dunque. Di certo il cambiamento dell’opinione pubblica non dipende dalla nuova strategia annunciata da Barack Obama durante la settimana per “degradare e distruggere” lo Stato islamico: la popolarità del presidente è dalle parti dei minimi storici, anche più bassa di quando ponderava un attacco  contro le forze di Assad, e le basi legali su cui sta appoggiando la campagna militare contro il califfato ricorda da vicino l’impopolare modus operandi del suo predecessore. Il professore di Yale Bruce Ackerman ha sintetizzato sul New York Times un’opinione diffusa fra i giuristi liberal: “Nel dichiarare guerra allo Stato islamico, Obama ha tradito la Costituzione e ha superato Bush in tracotanza imperialista”. La tracotanza imperialista e iltradimento dela Costituzione solitamente non sono buoni lieviti del consenso. Perché, dunque, l’America ha cambiato idea sulla guerra?

 

L’editorialista del Wall Street Journal Peggy Noonan dice che  le spiegazioni emotive o politologiche “non colgono un aspetto enorme della vicenda”: la persecuzione dei cristiani in medio oriente, il segno della natura religiosa del conflitto. “Gli evangelici e i cattolici conservatori che normalmente avrebbero appoggiato un’azione militare nel corso del 2013 sono stati relativamente silenziosi. Perché? Penso perché stavano maturando la consapevolezza, per la prima volta, di quanto stava avvenendo ai cristiani in medio oriente. Li stavano massacrando, torturando e cacciando per la loro fede. E nonostante tutti i suoi crimini e orrori, il giustamente odiato Assad non stava tentando di sterminare i cristiani del suo paese. I suoi nemici erano i jihadisti, inclusi quelli che avrebbero formato lo Stato islamico”, scrive Noonan. Nel giro di pochi mesi il gruppo jihadista ha chiarito la sua “agenda anticristiana, suscitando profondo allarme nei cristiani in America. Stanno decristianizzando il medio oriente, dove il cristianesimo è nato”. Questo è il salto di qualità nella percezione dei cristiani americani e “sicuramente è parte della regione per cui la maggioranza ora appoggia l’azione militare americana contro il gruppo terroristico”. Non c’è nessuna ragione, continua l’editorialista, per credere che il pubblico americano sia “improvvisamente diventato interventista” e che abbia maturato una tendenza “romantica o aggressiva verso le invasioni, le occupazioni e i tentativi di nation building”.

 

La natura dell’evoluzione dell’opinione pubblica ha a che fare con l’elemento religioso che lo Stato islamico ha reintrodotto in uno scontro – lo chiamavano guerra al terrore – che nel tempo è stato declassato a generica aggressione contro l’occidente con motivazioni di natura post-coloniale, dall’oppressione politica alle risorse energetiche. Nel novembre del 2001 Osama Bin Laden l’aveva detto chiaramente: “Questa guerra è fondamentalmente religiosa. I popoli dell’est sono musulmani e simpatizzano con i musulmani contro i popoli occidentali, che sono i crociati. Chi cerca di negare questo fatto chiaro come il sole si prende gioco della nazione islamica. Questa guerra è fondamentalmente religiosa. Stanno cercando di spostare l’attenzione della nazione islamica dalla verità di questo conflitto”. Nelle lettere del leader di al Qaida trovate nel rifugio di Abbottabad si leggono le lamentele per aver offerto a Bush e all’America il destro per sostenere che l’America non era in guerra con l’islam. Una parte della responsabilità dello spostamento narrativo era da attribuire a al Zarqawi e ai leader della branca irachena, poi espulsa per la condotta eccessivamente violenta contro sciiti e sunniti non allineati. Dalle macerie del gruppo è nato lo Stato islamico, che ha recuperato la retorica religiosa e ha iniziato uan sistematica opera di repressione contro i cristiani. Obama ha ripetuto una volta ancora che lo Stato islamico non è islamico. Non lo descrive come una perversione dell’islam, ma come una fenomeno separato che nulla ha a che fare con la religione. Un sondaggio dell’istituto Pew mostra che gli americani non sono d’accordo: il 50 per cento pensa che gli islamici siano “più inclini di altri a incoraggiare la violenza fra i propri correligionari”. E’ il punto più alto da quando Pew ha iniziato a condurre il sondaggio, nel 2002.