Giovanni Legnini (Foto LaPresse)

Il Legnini va storto ai manettari

Claudio Cerasa

Giovanni Legnini, come ha ricordato ieri con abbondante affetto e consueta simpatia Marco Travaglio sul Fatto quotidiano, è il primo caso di esponente in carica di un governo che dopo essere stato eletto come membro laico del Csm potrebbe diventare il numero due del Csm.

Roma. Giovanni Legnini, come ha ricordato ieri con abbondante affetto e consueta simpatia Marco Travaglio sul Fatto quotidiano, è il primo caso di esponente in carica di un governo che dopo essere stato eletto come membro laico del Csm potrebbe diventare il numero due dell’organo di governo della magistratura italiana. La storia, almeno una parte della storia, è nota: mercoledì sera le Camere hanno promosso al Csm l’attuale sottosegretario all’Economia con un consenso mostruoso – 524 voti, e Giorgio Napolitano, per capirci, due anni fa venne votato da una platea non molto più ampia (all’epoca furono 543 i suoi grandi elettori) – e la prossima settimana, martedì, quando si riunirà il plenum del Csm, Legnini, forte di un accordo trasversale tra Renzi, Alfano, Berlusconi e la minoranza del Pd, dovrebbe essere il prossimo vicepresidente del Csm. La scelta renziana di puntare su Legnini è avvenuta martedì pomeriggio intorno alle 15,30, quando Legnini, ex Ds (rito bersaniano, oggi nel giro del gruppo di Roberto Speranza), ex sottosegretario all’Editoria del governo Letta, ex relatore di maggioranza della Finanziara lacrime e sangue di Mario Monti (2012), ex vicepresidente della commissione Bilancio (economicamente, Legnini è allievo di Enrico Morando), ex sindaco (ah, questi sindaci) di un piccolo comune abruzzese (Roccamontepiano) e delegato del ministero del Tesoro al Cipe (dove ha stretto un ottimo rapporto di fiducia con il braccio destro di Renzi Luca Lotti, che del Cipe è segretario), è stato convocato a Palazzo Chigi, proprio da Lotti, e gli è stato spiegato il piano: Giovanni, per il Csm pensavamo a te, ci stai? Più che i retroscena tecnici legati alla scelta di Legnini per il Csm (Lotti e Legnini, curiosità, si sono incontrati giovedì scorso anche a Pescara, durante la presentazione di un libro, e, come raccontano i presenti, hanno cenato insieme, mostrando grande complicità e sintonia), il dato politico che interessa sottolineare, più che il come, è il perché. E da molti punti di vista il “ma perché proprio Legnini” è un dato che merita di essere approfondito.

 

Il perché Legnini si motiva seguendo due grandi filoni che, secondo Renzi, il sottosegretario all’Economia incardina in modo perfetto, e che rappresentano in modo naturale due messaggi chiari lanciati dal presidente del Consiglio anche al mondo della magistratura: supremazia del garantismo e primato della politica. Legnini, pur provenendo da un’area politica distante da quella in cui è cresciuto Renzi (il sottosegretario all’Economia, per capirci, non è del giro der governo Rutelli), in tutte le occasioni in cui si è in qualche modo occupato di giustizia (da relatore di minoranza, nel 2010, sulla riforma delle intercettazioni; da ex membro della Giunta per le immunità processuali, nella scorsa legislatura; da delegato permanente della commissione Giustizia, nel 2006) si è sempre fatto riconoscere per il suo non essere una costola del partito delle procure (d’altronde Legnini è avvocato) e per aver sempre considerato un errore strategico degli antenati del Pd (e anche del Pd) il volersi ammanettare al pensiero giustizialista rappresentato nel centrosinistra non solo dal compagno Di Pietro. Con la scelta Legnini, hanno pensato a Palazzo Chigi, lanciando in qualche modo un guanto di sfida niente affatto simbolico all’universo della magistratura, vogliamo certificare la scissione definiva tra il Pd e il partito delle procure (vedremo quanto durerà) e vogliamo dimostrare che, minacce o non minacce dell’Anm, questo governo (e questo Pd) si impegnerà a fondo affinché sia chiaro che la politica non ha intenzione di rimanere ostaggio dei veti della magistratura.

 

“Più riforme e meno post-it” è una frase ironica consegnata qualche giorno fa da Legnini ad alcuni amici e che dà, in un certo senso, la cifra delle intenzioni del governo sul fronte della giustizia. Intenzioni che, riforme alla mano, sono ancora timide, incidono fino a un certo punto, mostrano una qualche forma di timore nei confronti delle toghe (come ha ricordato ieri su questo giornale Roberto Giachetti, una vera e incisiva riforma della giustizia avrebbe dovuto abbracciare anche provvedimenti chiave come la separazione delle carriere e la revisione dell’obbligatorietà dell’azione penale) ma comunque indicano una direzione precisa: la politica, da ora in poi, non sarà più schiava della società civile, e nemmeno della magistratura, dovrà essere ancora di più impegnata in una battaglia per la certezza del diritto (offrire ai magistrati gli strumenti per combattere con efficienza i reati, offrire ai cittadini gli strumenti per poter far valere i propri diritti) e cercherà insomma di far prevalere il suo primato, il primato della politica, anche laddove nessuno aveva osato prima. Il fatto che Legnini sia un membro del governo, e per di più considerato, oltre che competente, anche fedele e leale dal giro renziano, non è una mossa casuale e indica che Renzi (vedremo se avrà successo) ha coscientemente voluto mostrare di fronte ai cannoni della magistratura i muscoli della politica.

 

[**Video_box_2**] I teorici della necessaria trasformazione del magistrato in una figura a metà tra il poliziotto e l’ayotallah della morale riempiranno probabilmente i giornali di post-it quando Legnini diventerà vicepresidente del Csm e forse rimpiangeranno i tempi in cui il centrosinistra affidava ai magistrati importanti ministeri (Di Pietro), importanti ruoli istituzionali (Grasso, al Senato), importanti consigli d’amministrazione (Gherardo Colombo, alla Rai), importanti presidenze di commissione (l’attuale presidente della commissione Giustizia alla Camera, per dirne una, è Donatella Ferranti, ex magistrato). Puntare su un profilo come quello di Legnini (ed essere garantista non vuol dire essere contro i magistrati ma vuol dire semplicemente osservare da laici e non da tifosi trinariciuti il sistema della giustizia) significa dunque tutto questo: significa indicare anche una possibile riforma del Csm e delle sue correnti (che Legnini non ostacolerebbe), una possibile riforma delle intercettazioni (Legnini è un sostenitore della tesi: diamo ai magistrati gli strumenti per indagare bene, ma curiamo la giustizia dalla sindrome del buco della serratura) e un’intesa di fondo tra governo e Csm. Quell’intesa che non è mancata tra gli ultimi governi e l’attuale vertice del Csm, Michele Vietti, il vice di Giorgio Napolitano a Palazzo dei Marescialli. Ma quell’intesa non potrà che essere ancora maggiore se la prossima settimana un membro dell’attuale governo diventerà davvero il vicepresidente del Csm.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.