Timothy Dolan (foto Ap)

Dolan suona la carica dei cardinali Usa: sui divorziati non si cambia

Matteo Matzuzzi

L'arcivescovo di New York e fino all’anno scorso presidente della Conferenza episcopale americana, prende la parola sui temi che fra poche settimane saranno discussi a Roma nel corso del Sinodo straordinario sulla famiglia.

Il cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York e fino all’anno scorso presidente della Conferenza episcopale americana, prende la parola sui temi che fra poche settimane saranno discussi a Roma nel corso del Sinodo straordinario sulla famiglia. La gente, ha detto in una lunga intervista a Crux – nuovo portale americano che racconta tutti i principali avvenimenti che hanno a che fare con il mondo cattolico – non dovrebbe attendersi alcun cambiamento circa la questione del riaccostamento alla comunione dei divorziati risposati, questione tra le più discusse negli scorsi mesi in vista dell’appuntamento sinodale: “Personalmente – ha spiegato il porporato – non vedo come potrebbe esserci un cambiamento drammatico senza andare contro l’insegnamento della chiesa”. Sarebbe più opportuno, ha osservato, che “il Sinodo guardasse in modo più completo il quadro, cercando di comprendere quali siano le strade per ricondurre le persone alla bellezza e all’avventura di un amorevole e fedele matrimonio”. Una posizione che si discosta da quella più volte illustrata dal cardinale Walter Kasper, che nei giorni scorsi ha ribadito la necessità di aprirsi ai cambiamenti in materia di pastorale familiare: “Se l’uomo fallisce”, ha detto a proposito del riaccostamento all’eucaristia dei divorziati risposati, “Dio offre al suo naufragio non una seconda nave, ma una zattera, un salvagente. Il sacramento della penitenza”.

 

Non si tratta – ha sottolineato – di un secondo matrimonio ecclesiale, ma di una sorta di mezzo di sopravvivenza. E “se Dio concede la comunione spirituale a questo naufrago, la chiesa può chiudere le porte sacramentali?”, s’è chiesto Kasper, ricordando una delle domande poste al collegio cardinalizio riunito in concistoro lo scorso inverno. La chiesa, ha ribadito, “non è un castello con un ponte levatoio e le sentinelle poste all’ingresso, ma è una casa dalle porte aperte a tutti, dove nessuno deve sentirsi escluso e lontano”. Si tratta di una linea che fatica a far breccia in un episcopato come quello americano, dove le parole del cardinale Dolan dimostrano una chiara opposizione a ogni cambiamento che vada nella direzione auspicata da Kasper e da numerosi episcopati, specialmente mitteleuropei. Il teatro dove questa diversità di vedute troverà spazio è il Sinodo ormai imminente, prima tappa di un percorso biennale che porterà alla decisione finale del Pontefice. Ed è qui che potrebbero nascondersi gli ostacoli: “Papa Francesco ha detto che vuole un dibattito aperto, e io sospetto che lo avrà”, dice al Foglio il vaticanista John Allen. “E’ chiaro che la proposta di Kasper è altamente controversa, come dimostrano alcuni nordamericani che si sono opposti, e quello è per me il dramma reale del Sinodo: se non c’è consenso tra i vescovi su una linea piuttosto che su un’altra, che farà Francesco?”.

 

[**Video_box_2**]Tanti, da oltreoceano, si sono già espressi. Il cardinale canadese Thomas Collins, arcivescovo di Toronto, si è mostrato più volte in sintonia con il pensiero di Dolan, e anche l’arcivescovo di Boston, il cardinale Sean O’Malley, in un’intervista al Boston Globe dello scorso febbraio, diceva di “non vedere alcuna giustificazione teologica per cambiare l’atteggiamento della chiesa sulla riammissione dei divorziati risposati ai sacramenti”. Se si considerano  i cardinali dell’America del nord, osserva ancora Allen, “la linea è di opposizione abbastanza netta a ogni cambio delle norme correnti. Per quanto riguarda l’intero corpo episcopale, invece, la gamma dei punti di vista è più ampia”. E’ la conferma della fatica che ancora fa la chiesa americana a mettersi in sintonia con le nuove priorità pastorali di Francesco, benché “su molte questioni i vescovi locali si siano conformati più facilmente”, aggiunge il vaticanista del Boston Globe. Basti considerare che essi sono “già fortemente a favore degli immigrati, molto più di tante conferenze episcopali europee. Anche perché, mentre la maggior parte delle comunità di immigrati in Europa è musulmana, negli Stati Uniti si tratta di cattolici”. Più difficile, invece, un “allineamento” sulle questioni che riguardano la vita: “E’ probabile che i vescovi degli Stati Uniti continueranno a mantenere una linea dura”, come per altro dimostrano le prese di posizione dell’attuale capo dell’episcopato, mons. Joseph Kurtz.

 

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.