Luca Cordero di Montezemolo al muretto della Ferrari durante le prove del Gp di Monza (foto LaPresse)

“Nessuno è indispensabile”

Cultura, governance e strategie che spingono LCdM fuori dalla Fiat

Ugo Bertone

Americani, nemici o salvezza? Il Lingotto a trazione Usa, le distanze (non solo manageriali) con Sergio l’americano, il soccorso di Della Valle. L’addio, un lungo addio, l’avevano previsto in molti. Ma uno strappo così violento, estraneo alle tradizioni della Real Casa, no.

Milano. L’addio, un lungo addio, l’avevano previsto in molti. Ma uno strappo così violento, estraneo alle tradizioni della Real Casa, no. Ma il prossimo divorzio, non consensuale, in Ferrari tra il manager prediletto dall’Avvocato, cioè Luca Cordero di Montezemolo, e il gruppo capitanato dal nipote John Elkann e guidato da Sergio Marchionne, dimostra innanzitutto che non c’è più tempo né voglia, ai tempi dell’economia globale, per l’etichetta e i formalismi dei salotti buoni nei casati di ottima famiglia. Il ceo di Fiat ha così opposto tre ordini di motivi per cestinare la “disponibilità” di Montezemolo – manifestata sabato ai box di Monza – a restare alla guida del Cavallino rosso per i prossimi tre anni, come già anticipato nel marzo scorso. Naturalmente alle stesse condizioni: indipendenza gestionale, voce in capitolo nelle strategie societarie e, soprattutto, distanza di sicurezza dalla nuova Fca, versione american style del vecchio Lingotto. Caro Luca, è stata la risposta, queste cose io non le avrei dette mai. Primo, perché l’“indipendenza” di Ferrari dal Lingotto non ha più ragion d’essere. In passato, quando Fiat navigava in pessime acque ed era per giunta accompagnata da una fama sinistra in tema di qualità, era nostro comune interesse alzare un cordone sanitario tra Maranello e Mirafiori per evitare scomode parentele.

 

Oggi, però, Fca sbarca negli Stati Uniti con ben altre ambizioni. Non ultimo, l’obiettivo di esportare una certa immagine del lusso made in Italy in giro per il mondo: perché rinunciare al traino di Ferrari, il brand più famoso e stimato del mondo? Perché Marchionne dovrebbe affrontare banchieri e broker di Wall Street senza esibire il gioiello della corona? Ma non ci sono alternative allo sbarco nella Borsa americana? Montezemolo non ha fatto e non fa mistero della sua contrarietà a “cedere la Ferrari agli americani” dopo che l’Avvocato, bontà sua, si era mosso per sfilare la Rossa alle brame di Ford. Anzi, attraverso le confidenze (anonime) a Repubblica, era emerso ad agosto il piano alternativo: quotazione a Hong Kong dopo aver ceduto quote a investitori asiatici pronti a valorizzare Ferrari a peso d’oro, anche per la fiducia riscossa dall’ex presidente della Confindustria. Spiacente, ha troncato netto Marchionne due giorni fa: “Un ceo, me compreso, sta al servizio dell’azienda. Quindi crearsi posizioni, illusioni che siamo al di fuori delle regole, al di fuori della dipendenza che esiste tra azienda e amministratore delegato sono cavolate, non esistono”. Questione di governance, almeno di quella che guiderà la Fca formato americano. Il ceo deve portare avanti le linee approvate dal consiglio, costituito a grande maggioranza di indipendenti. Senza la tentazione di presentare piani alternativi in altra sede, magari nell’ambito del grande clan. Contro il clan dei “cosmopoliti” ieri è tornato a scagliarsi Diego Della Valle, patron di Tod’s, che a Marchionne imputa di fare “annunci e promesse a vuoto da dieci anni”.

 

[**Video_box_2**]Tuttavia, al di là di questi appunti, la sensazione è che tra Torino e Maranello, in vista del grande trasloco d’oltre Oceano, si stia consumando uno strappo culturale: da una parte Montezemolo rivendica la diversità italiana, la capacità di far impresa nel nostro paese dialogando a qualunque prezzo, alla testa della “sua” Confindustria, con le confederazioni sindacali e i governi nel tentativo, il più delle volte vano – lo dimostrano le disavventure di Ntv che rischia sempre più di finire sul binario morto della concorrenza all’italiana – di far quadrare il cerchio tra regole, consenso politico e ricerca del profitto. Dall’altra Marchionne che, nel più assoluto silenzio del manager che sedeva al suo fianco nel cda Fiat, ha sfidato sindacati e poteri forti, a sinistra e non solo. Con il consenso di John Elkann che il 1° agosto ha congedato in maniera gelida dal consiglio Fiat l’ex presidente voluto, nel 2004, dalla nonna Marella e dalle zie per difendere il Lingotto dalle brame di Giuseppe Morchio e delle banche. E’ questo atteggiamento, dicono i bene informati, che ha fatto imbestialire Montezemolo, figlio (come l’Avvocato) di una cultura in cui anche la forma, oltre ai 5 milioni annui tra stipendio e bonus, ha sostanza. Di qui alcune sortite un po’ avventate – “La Ferrari è ormai americana”, trapelava ieri in un retroscena sul Corriere della Sera, ovvero “finirà come Lamborghini” – giudicate infelici all’indomani dell’ennesimo flop in Formula 1. E, aggiungono i più maliziosi, specie se arrivano proprio dal Montezemolo che alla guida del fondo Charme Investments ha appena ceduto la maggioranza di Poltrona Frau alla concorrenza statunitense.