Montezemolo in occasione del viaggio inaugurale di Italo (Foto Lapresse)

Concorrenza al capolinea?

Parabola triste di Italo, così deragliano i treni di Montezemolo & Co.

Stefano Cingolani

Debiti, esuberi e “dura ristrutturazione”. Perché sfidare il monopolio delle Fs e l’inerzia governativa è impossibile.

Roma. Antonello Perricone non molla e querela il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri che in un tweet aveva definito “quasi fallita” la sua Nuovo trasporto viaggiatori (Ntv). “La società – ha dichiarato all’Ansa il presidente – è impegnata in una dura ristrutturazione del proprio modello industriale” con tagli dei costi, rivisitazione dei contratti con i fornitori, ridefinizione del perimetro di sviluppo. Che sarà dura nessuno ha dubbi. Italo ha spezzato il monopolio ferroviario, ha trasportato sei milioni di viaggiatori, ma ha accumulato perdite pari a 156 milioni in due anni e un debito di 781 milioni di euro. Ieri il giornalista Roberto Mania, su Repubblica, ha svelato l’avvicinarsi della mobilità per 300 dipendenti su mille, dopo che nel gruppo sono già state fatte economie fino all’osso.

 

L’ultima goccia di questo stillicidio è arrivata da Federica Guidi, ministro dello Sviluppo economico: con il “decreto competitività” finisce infatti il regime tariffario agevolato introdotto nel 1963, quindi i costi energetici per l’operatore ferroviario salgono di 20 milioni l’anno. Ntv si trova così all’improvviso davanti a un aggravio consistente, tenendo conto che paga 120 milioni annui per l’affitto della rete e non è ancora riuscita a vedere un euro di profitto.

 

E’ una storia triste quella di Italo, una storia di concorrenza a parole e protezionismo di fatto. Il Foglio l’ha raccontata per primo esattamente un anno fa. Ntv è nata nel 2006 da Luca di Montezemolo, Diego Della Valle e Gianni Punzo (hanno il 35 per cento), insieme con le ferrovie francesi Sncf (20 per cento), per cogliere la liberalizzazione imposta dall’Unione europea. Nel 2008 è entrata Intesa Sanpaolo con un quinto del capitale. La società ha cominciato a operare il 29 aprile 2012 e da allora ha triplicato i viaggiatori. Ma i costi sono superiori ai ricavi e le Ferrovie dello stato hanno fatto di tutto per ostacolare il concorrente privato, scatenando sull’Alta velocità una feroce battaglia degli sconti.

 

A’ la guerre comme à la guerre, però le Fs applicano la distruzione totale. Esiste infatti un precedente, anche se su scala minore, con Arenaways, una compagnia di trasporto piemontese: le Fs l’hanno sgambettata, sono state giudicate colpevoli (abuso di posizione dominante), hanno pagato una multa e la società privata è fallita.

 

Anche Ntv lamenta le cento trappole del monopolista pubblico; i dispetti persino, come la recinzione alla stazione romana Ostiense per ostacolare l’accesso a Italo. Il fatto è che le Fs agiscono sia da arbitro sia da giocatore. L’Autorità dei trasporti ha impiegato anni per nascere e, nel frattempo, Trenitalia ha lanciato offerte-specchietto a 9 euro sul Roma-Milano, esattamente quanto costa usare un chilometro di rete. Il pedaggio in Italia è il più alto d’Europa dopo quello francese. In Gran Bretagna sono 6,5 euro, in Svezia 5,5. Le Fs hanno privilegiato le Frecce, trascurando il resto, anche se tra il 2001 e il 2010 i contribuenti hanno pagato 86 miliardi e mezzo di euro, compresi gli oltre 13 miliardi di debiti contratti nel 2007 dal Tesoro per l’Alta velocità. Alle Ferrovie italiane sono stati trasferiti 35 miliardi in più rispetto ai sostegni ricevuti in media dai treni pubblici dell’Europa occidentale. Una cifra che sale a 60 miliardi tenendo conto che dal 2010 gli aiuti di stato non sono stati ancora contabilizzati dall’Unione europea.

 

Quei peccati di lussuria in piena recessione

 

Secondo i calcoli dell’economista Ugo Arrigo (Università Bicocca di Milano), nel quadriennio più recente, per il quale sono disponibili dati completi (2007-2010), gli aiuti pubblici in rapporto all’estensione della linea ferroviaria sono stati in Italia pari a 457 mila euro per chilometro, il 57 per cento in più rispetto alla media dei dodici paesi che rappresentano il nocciolo della Ue. Se il calcolo si fa sugli effettivi chilometri in esercizio, la differenza tra il sussidio medio italiano e quello europeo risulta ancora più marcata: più 90 per cento circa, 317 mila euro per ogni chilometro contro 167 mila euro. Se invece si considerano i passeggeri e le merci trasportate, il divario è del 59 per cento.

 

Anche Ntv ha commesso errori, è evidente. L’affitto dei treni francesi è troppo oneroso, i servizi che hanno abbellito Italo fanno lievitare i costi, la partenza in pompa magna ha sottovalutato le difficoltà tanto più che nel frattempo è scoppiata la Grande recessione. Azionisti e manager hanno creduto che fosse davvero suonata la campana del mercato. Invece, le lenzuolate di Bersani, le regole europee, i solenni proclami di governanti liberisti, sono solo finzioni.