Federica Mogherini (Foto AP)

L'equilibrio delle nomine per sostenere la House of Cards europea

David Carretta

Un piccolo intoppo sulle alte cariche può far cadere un castello di compromessi. Il fronte dell’est si oppone a quello del nord, e sull’esecutivo Juncker ci sono molti malumori. I socialisti rischiano l’irrilevanza, ma dopo la generazione di Blair e Schröder è stato il vuoto.

Bruxelles. I capi di stato e di governo dell’Unione europea sembrano aver trovato la formula magica per chiudere la partita sulle nomine nel vertice straordinario di oggi. Il ticket vincente per uscire dallo stallo che si era venuto a creare a luglio, quando diversi paesi si erano opposti alla candidatura di Federica Mogherini per le posizioni considerate troppo filorusse, paradossalmente include il ministro degli Esteri italiano. La perseveranza del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e la fine del veto italiano a un rafforzamento delle sanzioni contro la Russia hanno pagato. Ma è stata soprattutto la promessa di affidare la presidenza del Consiglio europeo a un leader dell’est che ha fatto cadere i veti dei paesi anti russi: il premier polacco, Donald Tusk, entrerà al vertice come favorito per succedere al belga Herman Van Rompuy. Tusk-Mogherini andrebbero ad affiancare Jean-Claude Juncker, designato presidente della Commissione in luglio, per guidare le istituzioni dell’Ue nei prossimi cinque anni. L’ex premier lussemburghese sta negoziando con gli stati membri la distribuzione dei portafogli nella sua squadra. Se l’annuncio formale è atteso tra un paio di settimane, durante il vertice i capi di stato e di governo potrebbero scontrarsi su chi deve fare cosa. L’Europarlamento, inoltre, minaccia di bocciare la squadra Juncker per mancanza di donne (finora, su 28 membri, ne sono state nominate solo 4). E poiché nella “House of Cards” brussellese un piccolo intoppo può far crollare il castello dei compromessi, non sono escluse sorprese.

 

Il primo ostacolo all’accordo sulle nomine riguarda le caratteristiche del ticket vincente. Mogherini e Tusk hanno alcuni limiti, ampiamente sottolineati da diplomatici e stampa. Per il Financial Times, Mogherini sarebbe una “scelta deludente”. Secondo il Monde, sarebbe “la scelta sbagliata”. Entrambi i quotidiani, oltre alle posizioni dell’Italia sulla Russia, contestano la mancanza di esperienza che farebbe di Mogherini una “Ashton 2”. “Con una guerra in Ucraina, è patetico che la più importante caratteristica per essere il nuovo capo della politica estera dell’Ue sia essere donna”, ha twittato il columnist del Ft, Gideon Rachman. Mogherini “non è la sola ad ambire alla carica”, ha detto il ministro degli Esteri dell’Estonia, Urmas Paet. La Lituania potrebbe votare contro. L’est europeo preferirebbe la commissaria europea agli aiuti umanitari, la bulgara Kristalina Georgieva, o il ministro degli Esteri polacco, Radoslaw Sikorski, o il suo collega svedese, Carl Bildt. Ma i socialisti vogliono il posto per controbilanciare il popolare Juncker. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, e il presidente francese, François Hollande, hanno ceduto alle pressioni di Renzi con un “compromesso di bassa politica”, come ha detto un diplomatico al Monde. E così è spuntato Tusk.

 

Il premier britannico, David Cameron, annunciando il suo sostegno martedì, è stato rapido a saltare sul carro del polacco per mettersi alle spalle l’umiliazione della sconfitta su Juncker. Il problema di Tusk – popolare con credenziali di liberale e riformatore – è che parla male l’inglese, nulla di francese, mentre la buona conoscenza del tedesco porta a un’obiezione politica: la sua vicinanza con Merkel. Non a caso Hollande ha detto che sosterrà la premier socialdemocratica danese, Helle Thorning Schimdt. Il presidente francese ha l’obbligo di promuovere in prima battuta una “compagna”, anche perché con Tusk al Consiglio europeo, Juncker alla Commissione e lo spagnolo De Guindos all’Eurogruppo, la famiglia socialista verrebbe battuta 3 a 1 da quella popolare. Ma la nomina della danese Thorning Schmidt complicherebbe l’ascesa di Mogherini a Lady Pesc, con i paesi dell’est di nuovo pronti a formare una minoranza di blocco. Per quanto di mala voglia – spiegano fonti diplomatiche – Hollande sarebbe dunque pronto a dare l’assenso a Tusk. Magari con un trucchetto: un socialista come presidente dell’Eurosummit (istituzione informale creata dal Fiscal compact, finora presieduta da Van Rompuy), anche se è un’ipotesi remota. “Il presidente dell’Eurosummit non deve essere necessariamente un membro della zona euro”, spiega un’altra fonte. Al fronte dell’est si oppone ancora il fronte del nord. Irlanda, Svezia, Finlandia, Danimarca e Irlanda vorrebbero uno dei loro. L’irlandese Enda Kenny e il finlandese Jyrki Katainen sono i più citati con Thorning Schmidt. In caso di problemi per Tusk, l’est ha pronti il lettone Valdis Dombrovskis e l’estone Andrus Ansip.

 

I nomi che piovono da tutta Europa mostrano che nell’equilibrio che si sta cercando nell’Ue una delle fondamenta non regge: più che le donne, a scarseggiare sono i candidati socialisti credibili. Tusk, Kenny, Katainen, Georgieva, Sikorski sono popolari, mentre Ansip è liberale. Anche i socialisti inviati dai governi nella Commissione Juncker sono deludenti: l’unico nome di rilievo è quello del francese Pierre Moscovici, un enarca, che la Germania non vuole agli Affari economici dopo le promesse violate sul deficit come ministro delle Finanze in Francia. Juncker potrebbe affidare a Moscovici il portafoglio degli Investimenti e ricorrere a Jeroen Dijsselbloem per gli Affari economici: un laburista olandese che alla testa dell’Eurogruppo è stato contestato soprattutto dai socialisti. Se la prossima generazione di leader dell’Ue sarà deludente è anche perché, dopo la generazione guidata da Tony Blair e Gerhard Schröder, i socialisti non hanno più prodotto leader e idee innovative.

 

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