Un manifesto che ritrare Bashar el Assad (Foto Ap)

Tanta voglia di Assad

Daniele Raineri

S’avanzano i commentatori che chiedono un’alleanza funzionale con il regime contro il Califfato.

Roma. L’espansione rapida dello Stato islamico in Iraq e Siria, la violenza dei suoi video e l’attenzione dei media – e soltanto quest’ultima è una novità – stanno facendo del regime di Bashar el Assad il minore dei mali nella regione, dicono alcuni commentatori che si definiscono “realisti”. In molte dichiarazioni e in alcuni editoriali comincia a essere avanzata l’idea che l’Amministrazione Obama e gli alleati occidentali dovrebbero stringere un’alleanza funzionale con Assad in chiave antiterrorismo, e chiudere un occhio sui suoi crimini di guerra per ora. L’ex capo di stato maggiore inglese, Sir Richard Dannatt, dice alla Bbc che è necessario riconsiderare le relazioni con il presidente siriano. “Se bisognerà affrontare la questione dei bombardamenti nello spazio aereo siriano, dovrà essere fatto con l’approvazione di Assad”. Due giorni fa il capo di stato maggiore americano, Martin Dempsey, aveva detto che per sconfiggere lo Stato islamico è necessario attaccarlo anche in Siria e non soltanto in Iraq – dove ieri milizie sciite hanno ucciso oltre 70 sunniti in una moschea. Già a dicembre l’ex ambasciatore americano a Baghdad, Ryan Crocker, aveva scritto sul New York Times che, per quanto “lui sia cattivo, c’è qualcosa di peggio”. “E’ ora di considerare un futuro della Siria senza la cacciata di Assad, perché è così che con molta probabilità sarà il futuro”.

 

Max Abrahms, professore alla Northeastern University ed esperto di terrorismo, dice che “Assad non è mai stato una minaccia diretta per l’America, e questo valeva anche per suo padre. Mi sembra ovvio che se gli Stati Uniti devono scegliere se stare con Assad o con lo Stato islamico, sceglieranno Assad”. Steve Clemons, del mensile Atlantic, dice che non c’è ancora un consenso chiaro su cosa fare con Assad e la Siria, ma che c’è un numero di voci crescenti che sostiene che per distruggere lo Stato islamico l’America deve fare squadra con la Siria, la Russia e l’Iran”. Charles Freeman, ex ambasciatore americano in Arabia Saudita, dice che gli Stati Uniti sono già entrati in una partnership antiterrorismo con Assad: “Di fatto, stiamo agendo in parallelo con il regime di Assad, con Hezbollah e con l’Iran”.

 

Sul New York Times, l’analista Emile Hokayem è critico con questa tendenza: “Uno potrebbe pensare che la politica americana per la Siria non possa peggiorare, ma l’ascesa degli estremisti sta generando pensieri pericolosi nelle capitali occidentali. Consiglieri di alto livello e ufficiali in congedo di recente hanno cominciato a parlare di Bashar el Assad come di un male minore rispetto a qualsiasi cosa potrebbe venire dopo; alcuni lo considerano persino un partner potenziale per combattere i jihadisti”.
Il generale americano John Allen, che comandò i marine nella provincia di Anbar durante la guerra e poi divenne comandante del contingente Isaf in Afghanistan, ha scritto un breve pezzo sul sito Defense One sulla necessità di assestare un colpo fatale e rapido allo Stato islamico. Allen è contrario all’ipotesi di una riconciliazione con Assad: “L’America e gli alleati devono agire contro lo Stato islamico partendo da est a Mosul e in profondità in tutto il suo territorio nella Siria occidentale. A questo proposito, il rispetto della ‘sovranità’ intesa come spazio aereo e territorio non è qualcosa che dovremmo garantire al regime del presidente Bashar el Assad. La Siria è uno stato fallito che non riesce ad agire come uno stato sovrano e che non merita di essere considerato tale. Non possiamo lasciare allo Stato islamico un porto sicuro  in nessun luogo o assicurare loro una piattaforma di appoggio dove raggrupparsi o un santuario da godersi lungo la frontiera – ormai irrilevante adesso – tra la Siria e l’Iraq”.
Altri analisti, come Aaron Zelin del Washington Insititite for Near East Policy, fanno notare che questo bivio “o me o lo Stato islamico” è stato deliberatamente progettato da Assad negli ultimi tre anni, colpendo senza pietà i riformisti e i ribelli nazionalisti e ignorando i gruppi jihadisti.
 

 

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)