Matteo Renzi (foto LaPresse)

Nazareno della giustizia

Mentre gli altri parlano con i terroristi, Renzi può tessere la riforma

Redazione

La solida sponda di Napolitano e la porta sbattuta dal M5s confermano il ruolo di interlocutore di Berlusconi.

Non si scappa. O almeno non ci si allontana troppo dal perimetro virtuoso dove siedono i convinti delle riforme da fare. Se nel movimento di Grillo provano “un senso di ribrezzo nel constatare che un presidente del Consiglio possa ancora scendere a patti con Berlusconi sulla giustizia”. E se Matteo Renzi re-twitta a muso duro il pensiero del presidente del suo partito, Matteo Orfini, “parlano con i terroristi e non col governo”, significa che l’ago magnetico della riforma della giustizia il suo asse virtuoso continua imperterrito a indicarlo. Una direzione che passa innanzitutto dal “cordiale incontro” di mezza estate tra il Guardasigilli, Andrea Orlando, e Giorgio Napolitano svoltosi a Castel Porziano. Il ministro ha stilato una specie di promemoria, poi lo ha discusso in modo approfondito, si riporta, col presidente della Repubblica, che peraltro è anche il presidente del Csm e ha dunque titolo per partecipare al confronto su questi temi, e non solo per verificare che i progetti di riforma allo studio non presentino evidenti profili di incostituzionalità. Questa è, semmai, la vulgata giornalistico-agostana, avallata a giorni alterni dai due maggiori quotidiani (dalle parti del Fatto si è attestati sul golpe di Renzusconi, e la sclerosi impedisce altre alzate d’ingegno) che tendono a minimizzare l’interesse di lunga data e l’appoggio dell’esperto presidente a una riforma della giustizia che sia complessiva: settore penale e Csm incluso. A Castel Porziano c’era anche il consigliere giuridico del Quirinale, Ernesto Lupo.

 

Ovviamente, è oggettivo il cambio di ritmo subito dall’agenda governativa. Ma è tutto sommato fisiologico. Nell’incontro di ieri con i rappresentanti dell’opposizione a Via Arenula ci si è limitati, per il momento, a certificare che dei dodici punti in cui è articolata la proposta di riforma del governo soltanto alcuni, non proprio i più spinosi, verranno presentati al Consiglio dei ministri del 29 agosto. Del nuovo Csm e della regolamentazione delle intercettazioni (che inoltre è connessa alla ripenalizzazione del falso in bilancio, che consentirebbe di mettere sotto controllo praticamente tutti i membri di consigli di amministrazione), ad esempio, si parlerà più avanti. Forza Italia, l’unico gruppo d’opposizione che non ha rifiutato il confronto, per quanto preventivo, col governo, ha cercato paradossalmente di dare una mano – mentre gli altri berciavano – dietro lo specchio dell’insoddisfazione dichiarata per le proposte del Guardasigilli. Atteggiamento interlocutorio, “le carte sono ancora molto coperte”, dice un autorevole esponente di partito.

 

Proprio il rapporto con il gruppo berlusconiano, diventato centro strumentale della polemica inconcludente del M5s e della Lega, indica il perimetro reale entro cui ci si potrà muovere. Orlando, per parte sua, ha ieri negato l’esistenza di accordi segreti (è l’estate degli accordi segreti e dei piani segreti, i “maddeché” di Renzi evidentemente non scoraggiano) con Berlusconi per dare soddisfazione al fronte ampio che, dalla magistratura militante a Repubblica, ha scelto di contestare la riforma indipendentemente dal merito. E l’insistenza sull“immorale” rapporto tra Renzi e Berlusconi è con tutta evidenza copertura di più solidi interessi, togati e non.

 

Sono giochi ancora coperti, si prestano a più letture. Ma alcuni segnali sono sul tavolo e i giocatori esperti, che di solito non urlano, li sanno interpretare. Indicano che chi è intenzionato a sostenere la riforma attraverso lo schema di un accordo, come chiesto più volte anche da Napolitano, ha la possibilità di provarci. Ma le carte sono ancora al mazziere. Il viceministro Enrico Costa, quota alfaniana, si è mostrato sul Corriere di ieri sostanzialmente soddisfatto dello “spacchettamento” del disegno, e restio ad aprire ad altri: “Se altri partiti vorranno dare un contributo sarà l’intera maggioranza, poi, a valutarlo”. Ma un  conoscitore delle dinamiche parlamentari e storico garantista come il suo collega di partito Fabrizio Cicchitto ha dichiarato “inaccettabile” l’accontentarsi di una riformina: “Se non si limita bene il ricorso alla custodia cautelare, se non si ridimensionano le intercettazioni e addirittura si tagliano i casi in cui è possibile l’appello, allora ci troveremmo di fronte a una controriforma della giustizia e non a una riforma”. E più di un osservatore suggerisce che per sostenere una riforma così serve non avere paura dell’appoggio del Cavaliere. Anche se “dipende tutto dal governo. Se il Pd dimostrasse la stessa tenuta in Aula che ha dimostrato sulla riforma del Senato, siamo a cavallo”. Così ovviamente potrebbe non essere, le tensioni che sottotraccia si consumano nel Pd sulla giustizia sono note, ma Renzi sa che un cedimento qui sarebbe la premessa per analoghi arretramenti.