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I trionfi del San Lorenzo, la prima vera rivoluzione del Papa futbolero

Redazione

Questa squadra piace troppo. E non per gioco, o almeno non solo per quello, soprattutto per esposizione mediatica.

Roma. Azulgrana, come il velo di Maria Vergine Ausiliatrice, il primo tifoso sul Soglio Pontificio, la cima del Sudamerica conquistata, lo sguardo a quella del mondo, a dicembre a Marrakech, il Mondiale per club. Il San Lorenzo si scopre osservato speciale. Questa squadra piace troppo. E non per gioco, o almeno non solo per quello, soprattutto per esposizione mediatica. Vince lei e vince Papa Francesco, quasi i successi della prima fossero merito del secondo. Se della famosa rivoluzione della curia annunciata dal Papa callejero non si vede ancora traccia, la riuscita benedizione del Papa futbolero sudamericano è cosa fatta. In centosei anni di storia infatti per il “Ciclón” c’era stata solo qualche affermazione nazionale – 15 scudetti, nei due momenti d’oro negli anni 20 e 70 del Novecento – e quasi nulla a livello continentale, se si esclude la Copa Sudamericana, l’equivalente della nostra Europa League, nel 2002. Poi in un anno tutto quanto, l’abbuffata. Trofeo Inicial della Primiera División argentina nel 2013, nove mesi dopo l’insediamento di Papa Francesco in Vaticano, poi la Copa Libertadores, ieri notte contro il Club Nacional di Asunción, capitale del Paraguay.

 

Il punto più alto di una storia che aveva due anni prima toccato il punto più basso dopo un lustro di crisi economica e di risultati: 1° luglio 2012 playout, la retrocessione dietro l’angolo, battere nel doppio incontro l’Instituto di Córdoba l’ultima chance per evitare il baratro. L’allora arcivescovo di Buenos Aires, tessera di socio numero 88235N, Jorge Mario Bergoglio, ora Francesco, rassicurò l’ambiente: “Non preoccupatevi, sarà il giorno della rinascita”. I tifosi della hinchada a toccar ferro, perché in Sudamerica come in Europa, conta più la scaramanzia che la fede quando si tratta di calcio. Andò bene. E la rinascita iniziò davvero.

 

I meriti però – fatte salve le credenze e i crediti della fede – non sono papali, ma dirigenziali. Matìas Lammens nel 2012 era un avvocato trentaduenne, brillante e destinato a far gran carriera nella sua Buenos Aires, oltre a essere malato di San Lorenzo. Come l’amico Marcelo Hugo Tinelli, presentatore, produttore e imprenditore. Stanchi di soffrire da tifosi decidono di tentare la scalata al club alle presidenziali: la campagna elettorale punta attorno a un concetto semplice: rivoluzione. E fede. “Siamo tifosi, fedeli alla maglia, vogliamo il meglio per la squadra e i soldi per realizzarlo. Rivolteremo tutto. Avrete il meglio”. Gli danno fiducia l’88,5 per cento dei soci. In panchina arriva Juan Antonio Pizzi, passato da Pizzigol a Barcellona e in Spagna, vincente in panchina in Cile. Dirigenza azzerata, rosa rivoluzionata: dentro gente esperta e giovani di ottima prospettiva, tutti schierati attorno al cervello Leandro Romagnoli, capitano e amor della curva, e un’unica prerogativa: abnegazione e niente colpi di testa. I risultati arrivano subito, merito anche di una rete di osservatori costruita in due mesi in stile Arsenal e Udinese che ha permesso di acquistare a poco e vendere, in caso, a tanto. Applausi per la dirigenza, per l’allenatore, che nel frattempo è cambiato – dopo lo scudetto è arrivato Edgardo Bauza – e per i giocatori. Ma soprattutto per Papa Francesco, che la rinascita l’aveva prevista. I tifosi non se lo sono scordato, perché il calcio è sì scaramanzia, ma soprattutto fede come suggeriva un tifoso su di uno striscione l’altra sera, mentre il San Lorenzo alzava la sua prima Copa Libertadores: “Grazie Papa, santo subito”.

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