Vladimir Putin e Abdel Fattah al Sisi durante l'inconbtro di Sochi (Foto Ap)

La patata egiziana salverà Putin dalle sanzioni europee?

Redazione

Il presidente russo vede al Sisi per un accordo commerciale poi va in Crimea per un annuncio solenne. Il “convoglio umanitario”.

Roma. A una settimana dal blocco delle importazioni di beni alimentari provenienti da Europa, Stati Uniti e Australia, la Russia ha concluso un accordo commerciale con l’Egitto per acquistare prodotti agricoli e stabilire una zona di libero commercio che potrebbe essere allargata anche a Kazakistan e Bielorussia. Il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi e Vladimir Putin si sono incontrati martedì a Sochi, la città della Russia meridionale che ha ospitato le ultime Olimpiadi invernali. Grazie all’accordo con al Sisi il Cremlino farà fronte alla mancanza di circa la metà delle forniture di prodotti agricoli (patate, aglio, cipolle e arance), prodotti che non giungeranno più nei mercati russi dopo le sanzioni “autoimposte” da Mosca per rispondere alle misure occidentali. In cambio l’Egitto, che è sempre alla ricerca di grandi fornitori di beni essenziali, riceverà circa 5,5 milioni di tonnellate di grano proveniente dalla Russia. 

 

Dopo l’incontro con al Sisi Putin è partito per la Crimea per partecipare a una riunione del Consiglio di sicurezza della Federazione russa. Il presidente dovrebbe tenere un discorso solenne “con importanti annunci in merito alla situazione attuale”, e molti pensano a delle novità sulla questione ucraina. Da lunedì la Russia ha schierato al confine con la regione orientale del paese circa 45 mila soldati, che secondo la Nato e l’esercito ucraino sarebbero muniti di blindati, sistemi missilistici Grad e aerei da combattimento. Nelle ultime settimane l’esercito di Kiev ha intensificato le operazioni militari per riprendere il controllo dell’est del paese, e ai separatisti resterebbero solo le due città assediate di Donetsk e Lugansk. Ieri l’Onu ha fatto sapere che le vittime della guerra tra separatisti filorussi ed esercito ucraino sono ormai più di duemila e che il bilancio dei morti è raddoppiato nelle ultime due settimane di combattimenti.

 

Martedì un convoglio eccezionale è partito da Mosca verso Lugansk. I 280 camion (una colonna di quasi tre chilometri) sono in viaggio ufficialmente per trasportare aiuti umanitari alla popolazione civile dopo un viaggio di oltre mille chilometri. Secondo Reuters, parte del convoglio si sarebbe fermato ieri a Voronezh, vicino al confine con l’Ucraina. Ma Kiev non si fida, e parla di un “cavallo di Troia”: “Prima mandano i carri armati e sparano i missili contro gli ucraini e poi vengono a mandarci acqua e sale”, ha detto ieri il primo ministro Arseniy Yatsenyuk. Eppure un portavoce del governo ucraino ha dichiarato ieri alla Reuters che potrebbe essere raggiunta un’intesa con i russi per accettare il convoglio, ma solo se la distribuzione degli aiuti fosse supervisionata dal comitato della Croce Rossa internazionale. Da Ginevra, però, fanno sapere che Mosca ha fornito solo una descrizione sommaria del carico trasportato. Secondo il Financial Times, Kiev avrebbe avviato un proprio convoglio di aiuti diretto nella regione orientale in concorrenza con Mosca. Secondo la Nato “un’invasione di terra russa con il pretesto di un intervento umanitario è un’ipotesi molto probabile”. Il sospetto è che, oltre ad acqua e cibo, Mosca abbia inviato anche armi ai separatisti asserragliati a Donetsk e circondati dall’esercito ucraino.

 

L’obiettivo di Putin, con la mossa dell’intervento umanitario, potrebbe essere duplice. Da una parte, aumentare i consensi (già alti) in patria e in Ucraina, smentendo in modo plateale i sospetti occidentali. Dall’altra, palesarsi come protettore dei popoli slavi dell’Europa orientale, ponendo Kiev nella scomoda posizione di chi non intende aiutare il proprio popolo. Il discorso che Putin rivolgerà dalla Crimea, forse, svelerà la mossa successiva.