Nicolas Sarkozy e Silvio Berlusconi (Foto Ap)

Sarkozy ad Arcore: pardon, Silvio

Giuliano Ferrara

Apparentamenti e parallelismi. Tempistica, inimicizia politica dei pm, uso politico delle inchieste da parte della gauche, intercettazioni farlocche. L’uomo che rise del Cav. ora ha poco da ridere: deve scusarsi.

Non sarò un garantista, ma mi sono stropicciato gli occhi ieri mattina leggendo il New York Times. Dan Bilefsky e Maïa de la Baume hanno dato voce con sontuoso fair play al sospetto affacciato da Sarkozy, accusato di aver concusso-corrotto un giudice attraverso il proprio avvocato, promettendogli un posto succulento in cambio di informazioni sull’inchiesta giudiziaria in cui è accusato di aver preso quasi 70 milioni di dollari da Gheddafi per finanziare la campagna presidenziale in cui era impegnato: il sospetto è quello di un vasto complotto della sinistra e del presidente François Hollande per incastrarlo e impedirgli di assolvere alla sua funzione di libero e competitivo candidato della destra alle future presidenziali francesi. Dice niente, al lettore italiano, un simile sospetto? Non si parla di una telefonata gentile e supplichevole personalmente fatta da Bruxelles a un funzionario di questura milanese, che nega di essere stato coartato o concusso dall’ex premier italiano, per evitare guai a una ragazza che era parte di un giro di amici e amiche messo nel mirino della magistratura da tempo, le famose cene di Arcore e il resto di una vita privata. Non si tratta di una fumosa storia di diritti e opzioni commerciali, per la quale sono stati prosciolti i manager dell’impresa di cui è proprietario l’ex premier italiano, una storia fiscale trasformata in una gigantesca frode nell’ambito di un processo concluso ad un ritmo sommario e da una sezione feriale della Cassazione presieduta da un ciarliero magistrato oggi sotto inchiesta disciplinare. E’ in discussione – occorre ripeterlo – una intercettazione in cui, avvalendosi di un telefonino speciale, l’ex presidente francese discute con il proprio avvocato il modo individuato per promuovere un giudice e bloccare un’inchiesta intorno al trasferimento alla sua campagna elettorale, da parte del colonnello Gheddafi, poi ucciso da rivoltosi libici guidati dai servizi francesi al termine di una drôle de guerre dalle conseguenze devastanti, di una cifra piuttosto ingente.

 

Attraverso il testo impeccabile del New York Times si legge in filigrana, ma a rovescio, tutta la storia di sputtanamento giudiziario di Berlusconi, e di accanimento su di lui della giustizia politicizzata e faziosa, che porterà alla famosa ridarella di Bruxelles lo stesso Sarkozy, ignaro a quel tempo degli alti destini complottardi che lo avrebbero afferrato nell’epico contrappasso di una grande azione corruttiva e concussiva, fino a un arresto e interrogatorio senza precedenti nella storia della Quinta Repubblica e dello stato francese moderno. Nel testo c’è tutto quello che serve a capire non solo i destini incrociati di due uomini di stato europei, ma la condizione periclitante della credibilità della giustizia in Europa (d’altra parte il circo mediatico-giudiziario, formula di Daniel Soulez-Larivière, e le teorie più acuminate sul prepotere della magistratura inquirente e requirente sono argomenti forti nella pubblicistica francese come in quella italiana, in particolare la nostra, qui, del Foglio). Dunque quell’articolo va, più che letto, decrittato sine ira ac studio; e vedrete che c’è di che preoccuparsi anche per l’imminente giudizio del processo Ruby d’Appello, dopo la celebre condanna in primo grado sulla quale il New York Times e il meglio del bel mondo internazionale hanno steso un velo di indifferenza morale e professionale, assumendo come garantita la colpevolezza dell’imputato italiano e la purezza d’intenzione dei suoi persecutori in giudizio.

 

Senza muovere un baffo, gli autori dell’inchiesta pubblicata dalla Bibbia liberal e professionale del giornalismo mondiale partono con l’accusa di Sarko dopo che gli è stato inflitto il trattamento del fermo e dell’interrogatorio definito dal NYT come ispirato alla volontà di comminare al presunto reo “unprecedented indignity”: egli si dice vittima di un vasto complotto della destra per distruggerlo. “Ci sono trame organizzate contro di me”, viene citato così l’ex presidente, e ci si domanda: “Ha ragione?”. E’ vero che il premier socialista Manuel Valls esclude che il governo di sinistra abbia a che fare con l’affaire, ma Sarkozy è subito di nuovo citato per avere detto che questa frase a discarico “suona vuota in un paese in cui le battaglie intestine tra destra e sinistra sono virulente”. Sounds familiar?

 

Ma gli apparentamenti non finiscono qui. Nell’articolo si parla del timing, la giustizia ad orologeria, “no coincidence”, si dice che Hollande e la gauche sono molto deboli nei sondaggi, e che l’accusa verso di loro è di aver fatto un calcolo giudiziario a scopo politico. La sinistra avrebbe nominato giudici che non amano Sarko, seria insidia all’imparzialità, e Hollande farà di tutto per non doversi battere contro l’ex presidente. Si odiano. Sarko: lui è inutile e bugiardo. Hollande: lui è un salopard e un bastardo. Sarko era in buona posizione, registra il Times, ora è ferito seriamente. Certo, la prova del complotto è al massimo fatta di inferenze, è “circumstantial at best”, manca la pistola fumante, ma pochi disconoscono il disprezzo a sinistra per l’uomo dei mercati aperti e della tolleranza zero, che ha polemizzato con l’ordine giudiziario più volte. Una pratica, la critica ai magistrati, che ora gli si rivolta contro, nota il giornale. Claire Thépaut, la Ilda di Parigi, è iscritta all’associazione dei pm di sinistra. I news media certo la rispettano, e Françoise Martres, sindacalista dei pm, spiega che “un giudice senza opinioni non esiste”, ma la Ilda francese è considerata da Sarko “un nemico personale”. Infine le intercettazioni: ledono il privilegio della riservatezza nei rapporti tra cliente e avvocato, e sono del 2013 per reati del 2006, dunque inutilizzabili secondo Pierre-Olivier Sur, capo dell’avvocatura parigina, e sospette quanto ai fini di chi le ha disposte.

 

Ora, a parte la doppia deontologia o deontologia doppia del New York Times, che si accorge di certi problemi solo se coinvolgano un membro dell’establishment ad esso gradito, trascurando quel dettaglio che è la fairness in giudizio verso tutti e ciascuno, c’è un solo modo di risolvere la questione del parallelismo: Sarkozy prenda un aereo, vada ad Arcore o a Cesano Boscone, si scusi pubblicamente con Berlusconi per aver messo il dito dell’irrisione in una piaga che è tanto del Cav. quanto di lui stesso, e facciamola finita con l’idea che la giustizia europea è l’albergo delle buone maniere e dell’uguaglianza per tutti. Oppure ritiri quel che ha detto e la smetta di addossare un complotto via intercettazione a giudici politicizzati a sinistra, magari con la dissimulata solidarietà del New York Times.

 

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.