Nicolas Sarkozy e Silvio Berlusconi (Foto Ap)

Sarko, il Cav. e il senso del pudore

Giuliano Ferrara

Su Rep. Bernardo Valli fa di Sarkozy un eroe caduto e immune dal morbo berlusconiano. Noi siamo garantisti con tutti, ma perfino le verginelle conoscono la differenza tra l’opaco bling bling e il premier bauscia vittima di toghe ficcanaso.

Bernardo Valli di Repubblica s’è fidato nella sua autorevolezza un po’ sbiadita di scrivere ieri l’altro che il caso Sarkozy è diverso dal caso Berlusconi: il francese è un soggetto tutto politico, sostiene, non ha conflitti di interessi, non è socialmente condizionato dal suo essere imprenditore, è un eroe caduto laddove l’italiano non può essere paragonato a uno statista che, se ha sbagliato, lo ha fatto per passione politica, repubblicana. Il bling bling è o deve essere diverso dal bauscia, superiore nonostante tutto. Valli era preoccupato, e nello scritto mostrava anche con un certo candore la sua ansia di pedagogia democratica verso il cliente del suo giornale-tribuna immaginato come sprovveduto o influenzabile dai fatti: non sia mai che il lettore ingenuo interpreti come accuse gravi gli addebiti da sballo rivolti dai magistrati all’ex presidente francese (corruzione, concussione, finanziamento illecito delle campagne elettorali, su uno sfondo di rapporti statuali e di guerra al suo finanziatore Gheddafi da far rabbrividire); sarebbe terribile se le sue critiche roventi alla giustizia del proprio paese, al suo strumentalismo, alla sua tecnica inquisitoria, alla sua politicizzazione, all’imparzialità non proprio adamantina dei procuratori (cherchez les femmes, sono due donne) risultassero un calco della reazione intorno alla quale da vent’anni si combatte in Italia la battaglia tra invasione di campo dei pm denunciati come politicizzati e l’autonomia della politica, che la Costituzione (articolo 68, abolito su dettatura dei giudici nel 1993) aveva fissato nell’immunità dal fumus persecutionis come elemento decisivo della divisione dei poteri. Noi abbiamo qui trattato il caso Sarko come meritava; non essendo imputabili di servo encomio né di prevenzione verso l’uomo e lo statista, che in passato lodammo quando voleva fare la rivoluzione e stroncammo quando fece la drôle de guerre libica e lo sketch della ridarella, non ci siamo abbandonati al codardo oltraggio del caduto.

 

Ma c’è un limite alla compostezza. Meno autorevoli del vecchio giornalista ideologico truccato da cronista indipendente, siamo gente di mondo, anche in senso non proprio pregevole: sappiamo stabilire le corrette analogie tra i Lavitola e i Lavitolà, sappiamo che la lotta politica spesso si combatte in un campo grigio e indistinto, che può succedere di scegliersi un telefonino a prova di intercettazione, un nomignolo buffo per un président, una rete di collaboratori non esattamente appropriata alle regole del moralismo. Non la trasparenza, materia per le intemerate demenziali dei demagoghi, ma l’opacità, con il suo realismo e il suo rischio, è da sempre connotativa della politica e del potere, peraltro attività o dimensioni indispensabili all’essere umano sociale. Non ci scandalizziamo mai. La legalità è nel rispetto delle procedure e nell’accertamento di reati: punto e basta. Solo quando gli scandalisti professionali fanno le verginelle e mettono i puntini sulle “i” della decenza per come essi la intendono, solo allora ci prude la morale. Valli sarebbe saggio se riconoscesse, dopo la sua difesa moraleggiante di un politico minore che ha retto cinque anni e poi basta sulla scena europea, per realizzare poco e male ambizioni altisonanti e vane, che al confronto con la guarde à vue e la barba lunga dopo 15 ore di interrogatorio, finite con un’incriminazione, la sentenza Esposito e l’affaire di Cesano Boscone sono episodi grotteschi, circostanze alle quali l’ex presidente del Consiglio italiano, e leader di un pezzo d’Italia da vent’anni, si è conformato in un abito di mitezza e di rassegnazione che fa onore a lui ma non a chi ha gridato al Caimano senza paura di far sorridere la propria coscienza politica.

 

Dovrebbe spingersi anche più in là, in vista del processo d’Appello nel procedimento Ruby la cui conclusione è prevista per il diciotto luglio prossimo. Sette anni di galera e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici in primo grado nascono infatti da questo: nel tempo libero da politica e riforme Berlusconi non ama giocare a canasta con i coetanei, e una magistratura mediaticamente integrata e ficcanaso ha trasformato la sua vita privata in una vita degli altri da indagare con metodi obbrobriosi e da sanzionare, di nuovo in modo grottesco, con l’esercizio del vecchio arnese reazionario detto del “comune senso del pudore”. Valli queste cose non può non saperle, per dirla con i teoremi resi celebri dal procuratore Borrelli. Il fatto accusatorio che riguarda Sarkozy, per la sistematica e abusiva manipolazione delle leve dello stato in conflitto di interessi con i doveri dello stato di diritto e della democrazia, è enorme, come enorme è stato il trattenimento forzato o fermo giudiziario dell’ex quinquennale re di Francia; il fatto accusatorio di Berlusconi, con un’evidenza che sfugge solo alla disinvoltura mediatico-moralista, e alla sfrenata faziosità dei commenti pruriginosi, è una brutta commedia inquisitoria contro uno che ancora adesso, oltre vent’anni dopo, si dà da fare per risolvere problemi con la responsabile scelta di indicare nell’avversario un interlocutore e non un Arcinemico. Siamo garantisti, ma vorremmo che certi magistrati e certi giornalisti portatori della cultura forcaiola, fino alla piccola campagna imbonitoria implicita nell’articolo di Valli, rinunciassero alle loro immunità.

 

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.