Matteo Renzi (Foto La Presse)

Non solo servo encomio

Renzi fronteggia delle élite in perpetuo mood rivoltoso e accattone

Redazione

Poteri flaccidi e media col ditino alzato contro il governo. Ma su spesa, lavoro e privatizzazioni potrebbero agire.

Roma. “I mali cominciano quando invece di fare appello alle energie e alle iniziative di individui e associazioni, il governo si sostituisce a essi”. Quando John Stuart Mill scrisse il saggio “Sulla libertà”, nell’Inghilterra di metà Ottocento, il problema era di limitare il potere del governo su tutto quel che lo circondava. Nell’Italia dell’èra Renzi il paradosso è inverso: è quello di una classe dirigente che sguazza nello statalismo, e sempre va a tirare per la giacca, riparandocisi dietro e spesso azzannando la mano, un esecutivo e il suo capo irrituali per le élite. Che siano esse statali, private, confindustriali, sindacali, locali. Così non c’è fine settimana che sul debito non si propongano – dal Corriere della Sera al Sole 24 Ore, che della libera iniziativa dovrebbero essere custodi – un consolidamento, una simil-patrimoniale, una ristrutturazione e creatività varia. Il messaggio implicito è che la rogna è del governo; che sia invece questione di ridurre la spesa e qualche mancia, dalle più grandi (tipo energie rinnovabili) alle pittoresche (tipo Cnel, con Confindustria e sindacati uniti nella lotta), non sia mai detto. Ultima, la proposta dell’economista Alberto Quadrio Curzio, sul Sole 24 Ore di domenica, di cedere in pegno alla Germania dieci miliardi di euro delle riserve auree, quale garanzia delle riforme. Nel weekend precedente era accaduto che il Corriere organizzasse un convegno sul debito da ristrutturare. Nei giorni successivi, domanda nonchalante posta dallo stesso quotidiano al sottosegretario Graziano Delrio: “Sta pensando a una ristrutturazione come in Argentina o in Grecia?”. E il braccio destro renziano, anziché mandare tutti al diavolo, rispose: “Sono riflessioni che farà il presidente del Consiglio”.

 

Nel mentre il quotidiano confindustriale pubblicava l’ennesimo decalogo, un suo must, per il semestre italiano dell’Ue: accanto a un paio di giuste questioni, perentorie richieste di incentivi, investimenti pubblici, authority e regolamenti vari (compreso un “Compact Isi”, cioè “Compact industriale, scientifico e infrastrutturale”) in base all’inestirpabile teoria che tutto, a partire dalla crescita, discenda dal governo e da chi lo presiede. Peccato che tra decaloghi e convegni la Confindustria dimentichi regolarmente che le imprese italiane, ultimi dati Eurostat, assumano un quarto di quelle tedesche, un terzo delle inglesi, meno della metà delle spagnole, e paghino dal 30 al 50 per cento sotto la media europea. Sarà solo per via del cuneo fiscale? Le lamentele confindustriali, e il loro pendant delle questue sindacali, trovano poi, ovvio, l’alibi nella Pubblica amministrazione che, nonostante decreti governativi e soluzioni contabili quali quelle offerte dalla Cassa depositi e prestiti, non sblocca ancora i debiti verso i privati. Dopo 15 mesi la Ragioneria generale ha autorizzato 23 miliardi su 90, gli enti locali due: ma guai a toccare i mandarini, a fare un sano spoils system. Per averci provato Renzi si è beccato la scalfariana e infamante (in quanto normalmente riservata al centrodestra) accusa di “cerchio magico”. Eppure basta guardare alle privatizzazioni. Alla Rai è stato chiesto di cedere RayWay e risparmiare 150 milioni: apriti cielo. Alle Poste il governo ha cambiato il vertice con il mandato (iscritto anche nel Documento di economia e finanza) di cedere il 40 per cento. Ma tutti se la prendono comoda: alle Poste Francesco Caio osserva che “prima bisogna riscrivere le regole”. Insomma: si privatizza, forse, ma con calma, a discrezione e magari senza portare un euro nelle casse pubbliche. Sono queste le élite?