Ci sono cose che è meglio non sapere, e azioni di cui è consigliabile non liberarsi.

Devo dirtelo

Annalena Benini

La tentazione della confessione liberatoria e le cose che è meglio tacere per sempre (soffrendo).

Una cosa tremenda che non farò mai più, che anzi non ho mai confessato: non lo sa nessuno, però se ci penso mi sento veramente uno schifo. Tutti ne abbiamo almeno una, molti più di una, nella maggior parte dei casi (non perseguibili per legge) è saggio tacere. Invece una proprietaria di pub, in Inghilterra, ha ricevuto una lettera di scuse per un furto di ventidue anni fa, una bravata. “Mi vergogno così tanto e sono triste per quello che ho fatto”, ha scritto la signora ex scassinatrice, e ha infilato nella busta una banconota da cento sterline. E’ stata perdonata, con stupore e rinnovata fiducia nell’umanità, e il Guardian ha chiesto ai suoi lettori se c’è qualcosa che vorrebbero confessare, qualcosa che pesa sulla coscienza. Avete detto a una ragazza di aspettarvi sotto il lampione nel 1985 e poi siete spariti? Avete vomitato dentro le scarpe del vostro amico dando la colpa al cane, che è stato preso a calci e abbandonato? C’è sempre qualcosa che, dopo qualche bicchiere di vino, torna a galla e ci fa sentire un po’ male: vorrei confessarti che, quando eravamo in gita scolastica e abbiamo litigato, ho usato il tuo spazzolino da denti per pulire il water, poi l’ho rimesso a posto senza dire niente. Quando avevo quindici anni ho buttato una sigaretta accesa sulla Porsche appena consegnata del mio vicino di casa e gli ho rovinato la vernice. Però lo rifarei. Quando stavamo insieme in realtà io stavo anche con la tua migliore amica, che mi piaceva molto di più.

 

Le confessioni sono imbarazzanti, soprattutto per chi le riceve: ci si alleggerisce la coscienza, quando la coscienza ha attacchi di egocentrismo, e si getta addosso a qualcun altro, di solito la vittima dell’azione, il peso della rivelazione, dell’arrabbiatura, della scelta: mi dici adesso che dieci anni fa mi hai tradito con mia cugina, mentre ti chiedevo di portarla al cinema perché era depressa, e adesso che dovrei fare? Prendere il tuo spazzolino da denti e usarlo per pulire il pavimento, forse. O confessarti quella volta in cui abbiamo abbandonato in un campo il tuo porcellino d’india, e poi finto che fosse scappato, attaccando anche volantini ai muri per ritrovarlo. Ci sono cose che è meglio non sapere, e azioni di cui è consigliabile non liberarsi: se proprio si deve confessare qualcosa, per sentirsi leggeri e perdonabili, meglio che sia un paio di jeans rubati al grande magazzino, o il portafoglio trovato per strada riconsegnato solo dopo aver sfilato le banconote (si dirà che eravamo giovani, poveri, innamorati, incoscienti, ubriachi: ci sono mille scuse per i gesti incivili), ma conviene tenere per sé quasi tutto il resto. Soffrire per il peso delle proprie meschinerie, resistere alla tentazione della liberazione e, come consolazione, sentirsi eroici per la responsabilità interiore che ci impedisce di rivelare al mondo quanto siamo stati stronzi.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.