Silvio Berlusconi fa ingresso a palazzo Chigi per la riunione dei gruppi parlamentari (Foto La Presse)

Il Cav. scommette sul mago Matteo

Salvatore Merlo

I borbottii dei forzisti meridionali non frenano un Berlusconi sereno ma fatalista: o Renzi, o la finestra

Roma. Entra alle nove a Palazzo Chigi accompagnato da Denis Verdini e Gianni Letta, esce due ore dopo confermando l’accordo sulle riforme: legge elettorale, senza preferenze, in tempi rapidi, e Senato non elettivo. E dunque la trama intessuta da Verdini, schivo architetto di retrovia, regge alle sollecitazioni umorali e giudiziarie, alle ombre del processo Mediatrade, allo spettro d’una condanna in Appello nel processo Ruby, al tramestio ombroso di Raffaele Fitto, alla carica emotiva di Renato Brunetta. Così a pranzo, a Grazioli, dopo aver stretto la mano di Matteo Renzi, ai commensali Silvio Berlusconi appare persino di buon umore: nessun imprevisto, nessun inciampo, nessuna novità. Ed è tutto un complesso di cose, di tattica e di opportunismo, di interesse e di necessità, di timore e di speranza, a far sì che il Cavaliere si tenga stretto il ragazzino, il leader, come lo ha chiamato ieri, “spuntato sotto un cavolo a far la fortuna della sinistra”. Non gli è solo simpatico, perché consaguineo, perché ribaldo come lui: per Berlusconi, Renzi è un tronco che si tiene a galla nella tempesta. Dice una signora molto, molto amica di Berlusconi: “Non ci sono soltanto i guai giudiziari e le difficoltà dell’azienda. C’è una crisi bestiale nel paese, ed è interesse di tutti provare a uscirne. E possiamo uscirne solo così, solo aiutando Renzi, che ha il pallino in mano. Ci sarà la manovra economica, in autunno. Tempi duri. Non possiamo fare altro che affidarci alla buona sorte di Renzi, un po’ alla cieca, come ci si affida alla magia o al paranormale, come accade nei momenti disperati”. Ed è all’incirca questa l’aria che tira nella villa di Arcore, a Segrate, a Cologno Monzese. In famiglia come in azienda, tra gli affetti e gli affari.

 

Alle 15 il Cavaliere arriva a Montecitorio, deputati e senatori di Forza Italia lo stanno aspettando riuniti nella sala della Regina. E già tutti sanno di questo accordo rinsaldato con Renzi. Così qualcuno scuote la testa, aggrotta le sopracciglia, la fronte che s’incide di perplessità, soprattutto tra i parlamentari del sud, i pugliesi, i campani, alcuni siciliani che da settimane si guardano intorno, ricevono telefonate, mezze parole, languide allusioni ed esplicite lusinghe da Maurizio Lupi, da Pier Ferdinando Casini, da Angelino Alfano. Sono gli uomini di Raffaele Fitto e di Saverio Romano, soprattutto. “E’ una resa, una resa, una resa”, mormorano. Ma Berlusconi è attore supremo, padrone della tragicommedia politica, dunque si presenta sul palcoscenico girevole della sua Forza Italia con una sceneggiatura già scritta, limata, composta d’orgoglio (“solo noi possiamo impedire l’aumento delle tasse”) e responsabilità (“c’è un’occasione per ammodernare il paese”), sfumata d’amarezza (“purtroppo temo che dovremo soprassedere col presidenzialismo”) e colorata d’ottimismo (“avremo la legge elettorale che vogliamo, e in tempi rapidi”). Con infine quell’escogitazione da persuasore occulto, quelle paroline subliminali e sinuose, ma pronunciate col sorriso a fior di labbra: “Vi ricordo che le casse del partito languono. Dovete pagare le quote”. Come a dire: voi non pagate, io sì, tenete anche a mente di chi è la baracca. E così il Sultano, ammaccato eppure ancora capace d’acrobazie e infingimenti, prestidigitazioni e dissimulazioni, si siede e lascia parlare i suoi deputati-impiegati, come da giorni gli consigliava Fedele Confalonieri, come gli sussurrava Verdini: “Lascia il guinzaglio lungo, lasciali sfogare”. E insomma il presidente-padrone ascolta le lamentele, si concentra sulle critiche, quasi assume le movenze e tutte le espressioni d’un leader di partito classico. Dunque concede democrazia, libertà d’espressione, e poi magnanimo dice: “Capisco i vostri dubbi, rifletterò”. Così, alla fine d’un pomeriggio senza pathos, conferma i patti del Nazareno e l’asse con Renzi di fronte agli uomini che gli sono più vicini, ma prende tempo di fronte ai parlamentari – “ci rivediamo martedì prossimo” – e trasforma forse la satrapia di Forza Italia in una monarchia costituzionale, sebbene ottriata, una forma di dispotismo illuminato che lascia spazio a repliche concordate, mugugni autorizzati, rivendicazioni tollerate. “Su quanti voti potremo contare alla fine, davvero?”, aveva chiesto Luca Lotti a Verdini.“Su tutti. Tutti quanti”.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.