Silvio Berlusconi (Foto La Presse)

Forza Renzi

Salvatore Merlo

Un Cav. assediato dai tribunali (oggi occhio a Pier Silvio) impone a Forza Italia le “larghe riforme”. Le preoccupazioni per il processo Mediatrade e la necessità di non regalare il premier a grillini e sciacalli.

Roma. Silvio Berlusconi, oggi pomeriggio, di fronte ai suoi deputati e senatori dirà che le riforme vanno fatte, malgrado siano perfettibili e malgrado ad Arcore, a casa, si respiri un’aria pesante che per la prima volta coinvolge direttamente la famiglia, i figli, cioè Pier Silvio, che oggi potrebbe essere condannato in primo grado a Milano nel processo Mediatrade. Stamattina alle 9 e 30 si riunisce infatti la camera di consiglio che dovrà valutare la richiesta della procura: tre anni e due mesi per il reato di frode fiscale. E a Milano, a Segrate, a Cologno Monzese, a Mediaset e a Mondadori, in azienda, non si parla d’altro. Ma stavolta, dicono, si dovrà tenere tutto distinto: l’azienda dalla politica, la politica dalla giustizia. Cautela, mosse felpate, basso profilo, sorrisi e manovre avvolgenti. I tempi sono cambiati, dicono al Foglio dai piani alti dell’azienda di famiglia. Chissà. Molto, anzi tutto, dipende dal Sovrano, dagli umori e dalle inclinazioni di Berlusconi. Ma il Cavaliere sembra davvero voler tenere distinti il piano giudiziario e quello politico, nessuna crisi diplomatica con Matteo Renzi, nessun trauma, niente rotture. “I patti si rispettano”, ripete Denis Verdini all’unisono con Paolo Romani e con Giovanni Toti. Le riforme si fanno, dunque. Perché così conviene, così è più saggio, come suggeriscono i vecchi amici, i famigliari, e lo stesso Pier Silvio: “Tifo per le riforme subito e tifo per la fretta di questo governo. Renzi ha una chance unica, ma anche una grande responsabilità”. Spiega un ex ministro: “Non possiamo permetterci il rischio di perdere Renzi, di vederlo accordarsi con Grillo sul Mattarellum o su altre modifiche della legge elettorale”. Ragioni politiche. Ma anche ragioni economiche. Ad Arcore hanno la sensazione precisa d’un cappio giudiziario che si serra attorno alla gola della famiglia. Dicono che Marina ieri fosse molto preoccupata dall’eventualità che Pier Silvio non possa più mantenere le cariche operative a Mediaset (se condannato poi anche in Appello e Cassazione). E insomma forte si fa l’idea che prima di tutto, prima di ogni cosa, si debba mettere al riparo l’impero, la roba, le aziende, il lavoro di una vita. E così: lunga vita al patto del Nazareno.

 

“La settimana prossima le riforme saranno in Aula. E ci auguriamo che poi inizi immediatamente anche l’esame della legge elettorale”, dice Paolo Romani. E il capogruppo, così, di fatto, anticipa le inclinazioni e il discorso che il Cavaliere vuole tenere questo pomeriggio, a Montecitorio, alle 15, all’assemblea dei suoi deputati e senatori. “Ci manca solo che facciamo saltare le riforme”, dice Daniela Santanchè. E la Pitonessa, la Pasionaria di Forza Italia, spiega: “Pier Silvio ha fatto benissimo a dire quelle cose di Renzi. Le avrei dette anche io da imprenditrice. Noi manterremo la parola data sulle riforme”. Eppure tutto si tiene nel complicato passaggio verso l’approvazione della nuova legge elettorale e della riforma del Senato: i malumori interni, la crisi nel consenso, i piccoli gesti di protagonismo in Senato, le baruffe interne tra la corte di Arcore e il gran feudatario Raffaele Fitto, le nere nubi giudiziarie che talvolta fanno sbottare il Cavaliere: “Com’è possibile che un giorno faccio il condannato a Cesano Boscone e l’altro sono un padre della patria che fa le riforme con Renzi?”. Il tribunale di Sorveglianza di Milano, si sa, ha censurato le frasi di Berlusconi contro la magistratura, e il 18 luglio la Corte d’appello di Milano potrebbe confermare la condanna a sette anni nel processo Ruby. E poi c’è il processo Mediatrade, e il fantasma di una condanna anche per il secondo figlio del Cavaliere. Dicono al Foglio, dalla famiglia: “Marcello nella stessa cella dove stava Riina, Silvio costretto a tornare a casa sempre prima delle undici come un delinquente, le aziende che fanno meno utili di prima, e adesso anche Pier Silvio vittima della maledizione del padre. Sono tanti i motivi per essere rabbuiati”. E tante sono le ragioni per assecondare Renzi, rispettare il patto del Nazareno, mantenere centralità sul proscenio, specie adesso, nel momento della massima difficoltà.
Si gioca anche, prima o poi, la partita per l’elezione del presidente della Repubblica. E non si può rimanere all’angolo. Dunque, conferma Mariastella Gelmini: “La questione giudiziaria non ha niente a che vedere con le riforme”. Certo, s’intrecciano dubbi, timori, tatticismi, e tutto concorre ad alimentare la piccola fronda dei senatori che guidati da Augusto Minzolini, rinfocolatore di complemento, agitano i pomeriggi del gruppo parlamentare di Palazzo Madama. Ma il Cavaliere è padrone. Oscilla, sì, come sempre, “ma in fondo sa benissimo che rompere con Renzi significa farsi superare da Grillo, dai transfughi di Vendola, e dagli sciacalletti del centro di Casini e Alfano”. Dunque oggi pomeriggio, con garbo, tirerà il guinzaglio dei malmostosi. Con mano ferma.
 

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.