Luis Suárez (foto La Presse)

Con un tweet e un contratto hanno fatto diventare buono anche il cattivo Suárez

Piero Vietti

Con la loro affettata superiorità morale, gli inglesi hanno già dato il via alla damnatio memoriae dell'attaccante dell'Uruguay.

Roma. Con la loro affettata superiorità morale, gli inglesi hanno già dato il via alla damnatio memoriae di Luis Suárez, l’attaccante squalificato per quattro mesi e nove partite dopo avere morsicato la spalla di Chiellini durante la sciagurata Italia-Uruguay in Brasile. Il morso, però, non c’entra niente. Il calcio è molto più pragmatico e meno buonista delle sentenze punitivo-rieducative della Fifa, così sono bastati pochi giorni per vedere riabilitati il nome, i denti e soprattutto i piedi dell’attaccante che nell’ultima stagione ha riportato il Liverpool in Champions League facendogli sfiorare la vittoria del campionato inglese dopo venticinque anni di astinenza.

 

Sull’onda emotiva post morso, ex calciatori, editorialisti e burocrati del pallone avevano chiesto che l’attaccante venisse squalificato per sempre, o almeno per un paio di stagioni. L’allenatore della Nazionale, i suoi compagni di squadra, i giornalisti del suo paese, persino il presidente dell’Uruguay, sono intervenuti in sua difesa parlando di complotto e immagini taroccate, hanno attaccato la Fifa e criticato Chiellini per avere simulato. Tutto inutile. La squalifica è arrivata lo stesso, e dura. Le lacrime di Suárez, abilmente immortalate in foto dal ritiro dell’Uruguay, sono rimbalzate ovunque. Mentre la sua Nazionale orfana sbandava contro la Colombia, il presidente Mujica lo aspettava all’aeroporto tra due ali di popolo in visibilio, accogliendolo come un eroe. Il suo gesto, esecrato dai più buoni (Pelé su tutti) e lodato dai più cattivi (Maradona tra i pochi, e su queste pagine l’ex difensore del Torino Pasquale Bruno: “Meglio undici Suárez che undici Chiellini”), è diventato da subito uno dei simboli di questo Mondiale. Non poteva essere altrimenti: due mesi fa, su Espn, Wright Thompson aveva condotto un’inchiesta profetica sulle origini del mito, andando a cercare a Montevideo l’arbitro a cui – narra la leggenda – un Suárez quindicenne avrebbe spaccato il naso con una testata dopo un cartellino rosso. Quel ritratto spiegava perfettamente che uno come lui non può non mordere gli avversari: cresciuto senza padre pulendo le strade come secondo lavoro, raccoglieva le monete trovate in terra per riuscire a portare fuori la ragazza di cui si era innamorato. Un mese prima di quella testata, lei si era trasferita in Europa con la famiglia, e lui aveva deciso che sarebbe diventato un calciatore famoso per potere attraversare l’oceano, raggiungerla e sposarla: niente e nessuno glielo avrebbe impedito. “Morde perché si aggrappa a una nuova vita, terrorizzato di essere risucchiato in quella che ha lasciato”, scriveva Thompson. In Europa ci è arrivato, e quella ragazza è oggi sua moglie e madre dei suoi figli. Ogni scorrettezza di Suárez è un modo per allontanare da sé le strade di Montevideo.

 

Poi però è successo qualcosa. Ha cominciato Chiellini, augurandosi che la Fifa gli accorciasse la squalifica. I suoi tifosi di Liverpool, intanto, gli avevano perdonato anche questa: un morso a un avversario lo aveva già rifilato in Premier League, il campionato inglese, qualche tempo prima di essere squalificato per insulti razzisti al difensore francese di colore del Manchester United Evra (gli avrebbe detto “negrito”): roba già vista, si dicevano nel Merseyside, a uno che segna gol così perdoniamo tutto. Lunedì però è arrivata una nota ufficiale di Suárez, che chiedeva scusa "all'intera famiglia del calcio”, smentiva i suoi difensori ammettendo di aver dato il morso e prometteva di non farlo più. Il presidente della Fifa, Joseph Blatter, ha subito lodato il suo comportamento (“Ha chiesto scusa al calcio, e questo è fair play. E’ un campione e spero possa continuare la sua carriera”), e in meno di 24 ore parole simili sono arrivate anche dal Barcellona, la squadra buonista per eccellenza, che con una continuità a tratti stucchevole vince da quattro stagioni consecutive il premio fair play in Spagna e viene indicata da tutto il mondo come esempio di impegno per l’educazione dei giovani ai valori dello sport come il rispetto e la correttezza. Il fatto è che Liverpool e Barcellona si sono incontrate nei giorni scorsi, la squadra catalana vorrebbe acquistare Suárez per la prossima stagione e l’attaccante vorrebbe andare a giocare in Spagna. Il calciatore più brutto, scorretto e cattivo nel club più bello, corretto e buono.

 

Gli affari sono affari, e i gol sono gol. Nel mondo cartonato del calcio contemporaneo basta un comunicato di scuse su Twitter per essere riabilitati. Un nuovo contratto val bene una seduta pubblica di autoterapia. Suárez ha fatto il suoi calcoli (aiutato dal manager, il fratello di Guardiola), e ha pensato che gli conveniva fare il bravo. Lo stesso ha fatto il Barcellona, accettando il rischio e il pentimento a parole. A Liverpool non l’hanno presa bene. Dopo averlo difeso, ora lo attaccano per le scuse: è tutta una messinscena, dicono, organizzata per potersene andare al Barcellona. Dove lo aspettano per tornare a vincere. Fino al prossimo morso.

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.