Che cosa fanno i giornalisti italiani in Brasile per i Mondiali

Pierluigi Pardo

Cosa sia avvenuto davvero dentro al Portobello resort non si è mai capito. Fuori invece sì, lì eravamo noi. A seguire il mondiale per lavoro o per passione. Entusiasti o scazzati, a seconda dei tipi umani e dei momenti.   C’erano quelli che non vedevano l’ora di tornare a casa.

Cosa sia avvenuto davvero dentro al Portobello resort non si è mai capito. Fuori invece sì, lì eravamo noi. A seguire il mondiale per lavoro o per passione. Entusiasti o scazzati, a seconda dei tipi umani e dei momenti.

 

C’erano quelli che non vedevano l’ora di tornare a casa. E gli entusiasti. I polemici verso un Paese comunque piuttosto disorganizzato e gli innamorati del Brasile, quelli che si farebbero assumere per un posto da guardiano al Corcovado anche per due reais, solo per vedere tutti i giorni (nemmeno troppo di nascosto) l’effetto che fa.

 

E poi c'è il fattore M, come Mangaratiba, un posto né bello né brutto, sdraiato di fronte a Ilha Grande, molte curve e pochi ristoranti, la vita notturna da Cral decadente, mancava solo la bocciofila. Te lo do io il Brasile.

 

I giornalisti al seguito della Nazionale erano sparpagliati sulla mitica rodovia Santos – Rio De Janeiro. Alcuni sereni perché soggiornavano dentro al “Porto Real”, l’albergo che ospitava le conferenze stampa, oppure a cinque minuti di macchina al Club Med (e c’era pure il gioco aperitivo). Gli altri, incazzati, a distanza, in città come Itaguaì o Muriqui, tutti posti con l’accento, a maledire ogni giorno l’agenzia di viaggio, in perenne corsa contro il tempo e gli autovelox per non arrivare tardi alla conferenza di Chiellini o Sirigu.

 

E poi “Casa Azzurri”, lustrini e paillettes, spritz e mortadella, il piatto di pasta dell’una, il concerto di Emma e il mitico unplugged dei Negramaro davanti alle wags, la sera prima di Italia Uruguay. E le parole di ringraziamento di Abete: “E’ stata una splendida serata e spero che domani sarà una altrettanto splendida giornata”. Più o meno.

 

Quelli di stanza a Salvador o a Rio invece se la tirano. Gente di città che ha potuto cogliere da subito il clima del Mondiali. Gli entusiasti. Con l’accento giusto. Hanno imparato “Ta Bom” e “Isso”, lo slang per dire “ok”. Pronunciano “sciasigno” e gli portano il tè (si scrive “Chàsinho”). Chiamano “Fregi”, alla brasileira, Fred, l’uomo dei baffi improbabili e dei mille patemi sotto porta. Al ristorante ordinano solo “Choppe”, cioè birre alla spina e l’ex difensore del Milan per loro é “Sciago” Silva, con accento carioca.
Ti parlano di Rio e San Paolo come di Roma e Milano. Gira la solita battuta che se sei nato a Rio la cosa più bella di San Paolo è l’aereo per tornare a casa. E viceversa.

 

Falsi miti: il primo è quello delle donne (W l’Italia, sempre e per distacco). Il secondo, quello del caffè. Al bar c’è una moca che odora di anni Settanta. Caffè lunghi e fetenti, insomma. Il terzo è quello delle cose che assomigliano ma non trovi. Strepitosa gelateria italiana a Ipanema, ad esempio, ma solo coppette e niente coni (gravissimo). Poche tracce anche dei lettini in spiaggia, al massimo una cadeira, una sdraio d’altri tempi, piuttosto involuta, molto scomoda (quanto all’igiene, le faremo sapere).

 

All’ora di pranzo ci sono quelli ormai convertiti al mito dell’ acaì, bevanda ipocalorica che ti trasporta fino a cena con una domanda sola nella testa: “chi me l’ha fatto fare?”, e poi c’è il partito del guaranà, che si vende come coca-cola in lattine e bottiglie ormai molto industriali e pare ricarichi molto.

 

Già, perché le energie si consumano lavorando, oppure in spiaggia, il vero centro di Rio de Janeiro. Copacabana vs. Ipanema. La prima è molto Ostia (senza cancelli), popolare e chiassosa, la seconda è più Fregene, borghese e romanordista. In fondo c’è Leblon che è un pezzo di Viale Parioli trasportato dentro a Rio. Barra de Tijuca, una striscia residenziale lunga 30km invece è Olgiata purissima, videocitofoni, macchine lussuose e poca voglia di mescolarsi.

 

Lì c’è il Radisson, uno degli alberghi delle produzioni televisive, il centro operativo di Al Jazeera, e della sua televisione Bein Sports. Opinionisti strepitosi, mezzi tecnologici futuristici, e ovviamente tante persone di religione musulmana, così l’albergo ha accettato di anticipare le colazioni alle quattro del mattino causa Ramadan. Di sera li vedi tutti giocare a pallavolo o a calcio in spiaggia davanti all’albergo. Bellissimo.

 

A Ipanema invece puoi incontrare Lothar Mattheus a fare la fila al “Venga”, brasserie spagnola accanto al “Via Sete”, dove c’è sempre un tavolo prenotato per Johnny Depp. Più in là il ristorante tradizionale “Garota de Ipanema”, dove pare che Vinicius de Moraes e Carlos Jobim si ispirassero per la omonima canzone.

 

[**Video_box_2**]Poi di nuovo tutti in spiaggia. Non solo gli olandesi che sono scesi dal loro albergo sul lungomare a palleggiare, ma anche gli opinionisti di tutto il mondo. Rio Ferdinand fa jogging tutte le mattine. Wenger e Lizarazu hanno giocato coi ragazzi del luogo. In notturna anche la squadra Sky con i suoi tanti ex campioni, si è divertita a Copacabana. A noi invece, travolti in pochi minuti da un gruppo di ragazzini dribblomani e indemoniati, è apparso in sogno il Morro de dois Irmaos, una delle montagne storiche di Rio, mentre Zoro e Makkox hanno portato a casa un glorioso 7 a 7 grazie anche a un roccioso difensore colombiano trovato sul bagnasciuga (che pare abbiano già proposto a Rudi Garcia). Risultato ottenuto, tra l'altro, senza rinnegare il tiki-taka, che però qui non si usa. Già, perché i brasiliani giocano solo su sabbia asciutta (non scotta, siamo in inverno), che rende impossibile il controllo del pallone, se non ti chiami Maradona. A proposito, Diego non si è ancora esibito, ma è a Rio, e si affaccia ogni tanto dall’hotel di Ipanema che ospita anche Cannavaro, Passarella e la nazionale olandese. Fuori, centinaia di persone a caccia di molte foto e pochi autografi (in forte ribasso, segue dibattito sul futuro della carta stampata). Intanto passano i giorni, si avvicina la finale, si sognano Ponza e la cacio e pepe. Pronti a stupirci, poi. Quando tutto questo Brasile, improvvisamente e senza alcun razionale motivo, ci mancherà.

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