Adélaïde Labille-Guiard, Ritratto di donna (dett.) (1787 circa) olio su tela, Musée des Beaux-Arts di Quimper (Wikimedia commons) 

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Non ci fidiamo neanche di Manzoni

Antonio Gurrado

Mentre il punto e virgola scompare dai testi degli studenti britannici per fare spazio a una sintassi più diretta, “egli” resiste nei romanzi storici italiani come simbolo di una scrittura che continua a distinguersi dalla lingua parlata

Il punto e virgola e il pronome “egli” si sono incrociati qualche giorno fa, per via di una fortuita coincidenza cronologica. Proprio mentre in Gran Bretagna uno studio di Lisa McLendon rilevava un calo del 67 per cento nell’utilizzo del punto e virgola fra gli studenti d’oltremanica, al Salone del libro di Torino un intervento di Giuseppe Antonelli notava incidentalmente quanto agli autori italiani di romanzi storici piaccia ancora utilizzare “egli” come soggetto, invece di “lui”. Sono due istruttivi casi di evoluzione del rapporto con la scrittura. Il punto e virgola, di per sé innocente come qualsiasi segno considerato in astratto, non è stato inventato da un autore bensì da un tipografo: con arditissima mossa di editing, nel 1496 Aldo Manuzio lo introdusse nel De Ætna di Pietro Bembo, e forse per questo ha conservato fama di interpunzione leziosa. Più o meno nello stesso decennio, i lessicografi iniziarono a dibattere su quale fosse la forma più corretta di pronome da utilizzare come soggetto; possiamo dire che la diatriba fra “lui” ed “egli” risalga alla nascita dell’italiano moderno.

Cosa vuol dire, dunque, quando cancelliamo un punto e virgola o facciamo iniziare una frase con “egli”? Nel primo caso stiamo rivendicando di essere persone dalle idee chiare: o stoppiamo la frase con il punto o la facciamo proseguire con la virgola, senza tentennamenti. Del resto, il punto e virgola serve a dare respiro al periodare e presuppone una certa maestria nella durata delle pause cui indurre il lettore; è pertanto superfluo in un’epoca in cui la scrittura è ridotta a collage di dichiarazioni e rivelazioni, in cui bisogna prendere subito fiato per strillare la frase successiva. Se invece “egli” sopravvive è perché restiamo immersi nella convinzione che per scrivere sia necessario mettersi a scrivere, ossia che la lingua di cui ci serviamo scrivendo debba distinguersi dal flusso naturale delle nostre parole. Non vale a dissuaderci nemmeno la contezza che già nel 1840 Manzoni risolse la questione promuovendo “lui” a soggetto, perché l’italiano normale si parlava così. Due secoli dopo non siamo ancora convinti di poter farlo anche noi, se lo faceva lui; anzi, se lo faceva egli.

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