Una fogliata di libri

Invidia

Giulio Silvano

La recensione del libro di Nahid Sirri Örik, edito da Crocetti. 256 pp, 18 euro

"Non era giovane, e men che meno bella" e sebbene "Seniha avesse già trentanove anni compiuti, non le era ancora toccato in sorte un marito". I genitori hanno puntato tutto sul fratello, che infatti ha una bella moglie e lavora. Seniha è tanto invidiosa che addirittura lascia che la cognata si interessi ad altri uomini, come al ventenne dandy sbruffone con i denti bianchissimi, figlio di parvenu che han fatto i soldi con le miniere. Come un’anti Emma, Seniha usa le passioni altrui per costruire una propria piccola vendetta, unica soddisfazione che può avere nella sua condizione, tra meschinità e gli ambienti soffocanti della borghesia provinciale dove serpeggia decadenza e immoralità. Seguire questa antieroina, acida e antipatica, più che all’immedesimazione porta il lettore al volerla accompagnare, perché il suo occhio di vittima è acuminato come non mai, forse perché per tutta la vita si è sentita che gli altri la trattavano con sufficienza per il suo aspetto. Ma dove Seniha manca di bellezza guadagna in acutezza, e l’acutezza può essere ben usata per ferire gli altri. Ogni dialogo – e Nahid Sirri Örik è molto bravo a scriverli, facendo trapelare i non detti – diventa una piccola battaglia, o il sintomo di una debolezza, lo stendardo di un vizio. In Seniha tutto è guidato dall’invidia. “Era stato quello il sentimento che per primo” era comparso nel suo cuore, “il primo a farsi sentire, quello che quasi ogni giorno cresceva e si sviluppava in lei… Persino tra le memorie più vecchie, sbiadite o sfocate della sua esistenza, l’invidia dominava ogni cosa”.
 

Ambientato nella cittadina mineraria di Zonguldak negli anni Trenta, il romanzo è uscito nel 1946 ma poi col tempo è scomparso. Il motivo dell’oblio di Nahid Sirri Örik si deve sia alla sua omosessualità che al non aver mai fatto parte dei circoli intellettuali del primo periodo repubblicano, e anche all’aver raccontato il buio del cuore umano, le punibili passioni erotiche e le meschinità dell’alta borghesia in un momento in cui la nazione, e chi la controllava, voleva soprattutto ricostruire un’epica della modernità. Nato a fine Ottocento in una famiglia di funzionari ottomani, Örik ebbe la possibilità di girare l’Europa – Roma, Berlino, Vienna, Copenhagen, Parigi, negli anni Venti – per poi tornare a Istanbul lavorando come traduttore per un ministero. Da poco è stato riscoperto nella sua madrepatria e questa di Nicola Verderame è la prima traduzione fuori dalla Turchia. Scrive Verderame nella breve postfazione: in Invidia “tutti i personaggi in un modo o nell’altro sono dei perdenti”.

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