La stazione di Milano Centrale durante le vacanze estive del 1961 - foto via Getty Images

Una fogliata di libri - Lettera dal Pliocene

Essere e sentirsi estranei nella città brandizzata

Marina Corradi

C'era una volta una Milano in cui gli stilisti non esistevano e il vestirsi era semplice. Poi sono arrivati: le griffe come emblema di sé, brandelli di certezza di un sempre più inconsistente

C’era una volta, nel pliocene forse, una Milano in cui gli stilisti non esistevano. Vorrei testimoniarlo per chi è giovane. Anni ’60, Armani Versace e gli altri, sconosciuti. In molte case c’era una Singer, ancora di quelle nere. La usavano le madri e le figlie per cucirsi gli abiti tagliati sui cartamodelli delle riviste femminili. Il ronzare delle Singer, mite, si sentiva nei cortili. L’aveva anche mia madre, una Singer bianca, nuova. Ma ormai andava da una sarta, in via Manzoni. Dietro al portone uno dei segreti giardini di Milano, con la ghiaia per terra e le rose, a maggio. Dalla sarta la faccenda andava per le lunghe. La signora era piccola, sui cinquanta, lenti spesse per vedere dove puntare gli spilli. Mia madre usciva dal camerino con il vestito imbastito addosso. Gli specchi fra i velluti la riflettevano. Era bella mia madre, e a me il vestito pareva perfetto. Sulla sua bocca invece una piega insoddisfatta. No, diceva gentilmente: guardi qui queste pinces, e questa, e queste. La sarta s’inginocchiava e pazientemente puntava spilli, spilli dappertutto. Io, bambina annoiata, me ne andavo in giardino, ad annusare quelle rose nascoste come monache.
 

Ma pliocene, appunto. Giustamente scomparso. Aprivano ormai i primi grandi magazzini, il mondo nuovo. Vestirsi era diventato semplice. Poi l’avvento degli stilisti: le griffe come emblema di sé, brandelli di certezza di un sempre più inconsistente Io. Leggo che il brand Milano oggi vale 150 miliardi, e traina la città. Leggo anche che uno dei più famosi marchi, secondo la Procura, produceva borse nei capannoni clandestini cinesi, nell’hinterland. Un euro all’ora, dieci ore al giorno, la pentola per cucinare davanti al wc. 1.800 euro quella borsa, in sontuose vetrine. L’ho letto, ma subito la notizia è sparita dai giornali. Griffe e giapponesi pellegrini alle vetrine di Prada e Gucci in Galleria come davanti a un tempio, confesso, mi irritano sempre di più. Capisco: 150 miliardi. Milano è “giusta”, sono io, quella rimasta indietro. Sono io l’estranea, in questa città brandizzata.

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