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L'arte di parlare difficile
Dal neoministro Giuli al caso editoriale del 1966 di Tommaso Landolfi. Eppure in Italia il vocabolario è caduto in disuso
L'arte di parlare e scrivere difficile è ben radicata in Italia. Pietra di paragone è l’ormai famigerato discorso del ministro Giuli, la cui incomprensibilità è stata denunciata perfino dai 5 Stelle, adepti contiani della “malleveria” e del “salvo intese”. Immediato a loro dire il paragone con la supercazzola, benché dai tempi di Tognazzi la situazione sia mutata. All’epoca circolava infatti nelle scuole l’incomprensibile Lamanna, manuale di filosofia basato sull’assunto che una materia astrusa richiedesse un linguaggio astruso. Lo sbertucciò poi Luciano De Crescenzo, che impresse una svolta epocale alla divulgazione rivendicando alle nostre seriose latitudini l’operazione svolta oltremanica da Bertrand Russell: affrontare argomenti astratti sorridendo e senza causare emicranie.
Oggi l’affermazione della pur benvenuta semplicità espositiva ha tuttavia come effetto collaterale il ritenere che, se una cosa non si capisce subito, è una fregatura. Ebbene, il discorso di Giuli in realtà si capiva; delineava un ragionamento in termini complessi. Ogni tanto le parole devono essere difficili. Mi ha ricordato un caso editoriale del 1966, La passeggiata di Tommaso Landolfi (in Racconti impossibili, Adelphi, 193 pp., 14 euro). Nelle prime tre righe il lettore incontrava “scappini”, “scaprugginava”, “bozzima”, “murcido”; mal ne incolse a Paolo Milano, che sull’Espresso le definì “parole inventate”. Landolfi reagì con un dialoghetto (questo sì inventato) fra sé e i detrattori, in cui li rimproverava di “poca dimestichezza col dizionario italiano”, li invitava a munirsi di “un volgare Zanichelli […] che va per le mani di tutti, e perfino in quelle degli scolaretti”, e faceva notare come vi fossero “registrate, con opportuna spiegazione, TUTTE le parole di cui si tratta”.
Altrettanto avrebbe potuto fare Giuli, così che come i lettori di Landolfi avremmo potuto esclamare: “Il vostro scritto, pertanto, ha un senso comune!”. Probabilmente, però, in Italia il vocabolario è caduto in disuso; quanto al parlar difficile, si preferisce chi usa parole che suonano bene (“problematica”, “resilienza”, “catastrofale”), combinandole così che sembrino avere un senso. Purché non ce l’abbiano.
Una Fogliata di libri