Una fogliata di libri

Le notti della peste 

Giuseppe Fantasia

La recensione del libro di Orhan Pamuk (Einaudi, 709 pp., 25 euro)
 

Basta dire “peste” in letteratura, e non si può non pensare a Daniel Defoe, autore di un libro (Diario dell’anno della peste) che piacque così tanto ad Albert Camus, da esserne influenzato per il suo (La peste). Lo stesso Manzoni ne parla in un capitolo dei Promessi Sposi, anche se quel morbo non è l’unico tema. Non lo è neanche per Orhan Pamuk, che in questo suo nuovo romanzo è come se facesse un pot-pourri di tutti e tre quei libri, prendendo da ognuno il suo meglio, condendolo con la storia e l’allegoria, numerosi personaggi e altre storie, amori e guerre, paura e potere, modernità e tradizione, fede e ragione.

 

Questa volta, l’autore, tra gli altri, di Neve, Istanbul, Il Museo dell’innocenza e La stranezza che ho nella testa, già vincitore del Premio Nobel per la Letteratura, ci porta agli inizi del Novecento, a Mingher, “la perla del Mediterraneo orientale”, un’isola immaginaria lungo la rotta tra Istanbul e Alessandria d’Egitto. Da un piroscafo, scendono il dottor Bonkowski, il maggior specialista di malattie infettive dell’Impero ottomano,  e il suo assistente. A volerli lì è stato il sultano per indagare su quel nemico invisibile ma mortale che rischia di mettere in ginocchio l’Impero stesso. La peste è lì e non ha alcuna intenzione di nascondersi né di andarsene, anzi. Si impone rapidamente, ha accesso dove ad altri è proibito e non risparmia nessuno. Le credenze popolari e la religione si mescolano e si scontrano con la medicina e la sua scienza, le proteste pullulano in quella società multiculturale dove nulla sarà più come prima. 

 

Pamuk – che è venuto a presentarlo in anteprima alla 18esima edizione del festival Torino Spiritualità, promosso e organizzato dalla Fondazione Circolo dei lettori – ci fa muovere tra sultani e pascià, burocrati e principesse al tramonto di un Impero ottomano scosso da quella epidemia nera, ma è come se quelle vicende dei primi anni del secolo scorso parlassero di noi, dei regimi autoritari e delle nostre democrazie fragili. L’isola di Mingher è solo il punto di partenza di un’allegoria che mostra la Turchia e il suo è un narrare sublime della vita quotidiana nella città. Presenta i deboli come gli eroi, tenendo bene a mente i cambiamenti della vita ordinaria, l’alimentazione e la vita sociale, tra un basso e un alto dove la peste è la livella. Un libro ipnotico che appaga il lettore senza mai saziarlo, rispondendo a quello di cui ha desiderio. Solo le persone superficiali non si fanno bastare le apparenze, diceva Wilde. Bisogna andare al di là del guardare, aggiunge Pamuk. E ha ragione. 

 

Orhan Pamuk
Le notti della peste 
Einaudi, 709 pp., 25 euro

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