Havel. Una vita

Roberto Persico

La recensione del libro di Michael Žantovský, La nave di Teseo, 688 pp., 25 euro
 

Di Vaclav Havel, Michael Žantovský è stato portavoce e responsabile dell’ufficio di presidenza, ma soprattutto amico. Era fra i pochi ad aspettarlo all’uscita del carcere al termine dell’ultima reclusione, nel maggio del 1989, e ha avuto il privilegio di “portare i suoi effetti personali in una borsa a tracolla”. E anche se poi i loro giudizi sulla politica si sono allontanatati, l’amicizia non è venuta meno. Anzi, per definire il rapporto che lo legava a Havel, Žantovský usa addirittura la parola “amore”. E avverte: “Essere innamorati del soggetto della biografia che ci si appresta a scrivere non è necessariamente la migliore condizione per scriverla, perché si rischia l’agiografia”.

  
Sennonché in questo libro di agiografia non ce n’è neanche un po’. Non nasconde nulla infatti Žantovský dei limiti e dei difetti del presidente della “rivoluzione di velluto”. Non nasconde le ingenuità del giovane poeta, “pericolosamente vicino all’apologia dell’utopia collettiva”; non i tentennamenti del commediografo di successo di fronte a quelli che gli sembrano gli eccessi della “primavera di Praga”; non le fragilità dell’uomo maturo, quando deve fare i conti con la persecuzione e il carcere, e a lungo soppesa la possibilità di evitarli. Men che meno Žantovský nasconde le debolezze di Havel nella vita privata, la passione per l’alcol e per le donne, con i mille tradimenti che la moglie Olga pazientemente sopporta. Ma è proprio perché nascono sul terreno di un uomo normale e non di un supereroe da fumetto che le sue scelte decisive acquisiscono un rilievo ancora più grande.

  
Per tutta la vita, infatti, Havel ha fatto l’apologia della “vita nella verità”, come la definisce in uno dei suoi scritti più noti, Il potere dei senza potere; e per tutta la vita ha fatto i conti con la difficoltà di essere all’altezza delle proprie parole. Ma quando sono arrivati i momenti cruciali, le sue azioni sono state esemplari: nel 1975 prende carta e penna per scrivere al segretario del Pcc che la pace che regna nel paese è “la calma dell’obitorio o della tomba”; l’anno dopo difende pubblicamente i Plastics, un gruppo rock accusato di degenerazione capitalistica; e così via, fino all’anno fatale, il 1989, quando la ribellione spontanea del popolo cerca un leader affidabile. E lui, che ha sempre scritto che la salvezza non è la politica, non si tira indietro. Salvo poi ritirarsi senza recriminazioni quando capisce che il suo tempo è finito. Una lezione che il nostro tempo farebbe bene a non dimenticare. 


Havel. Una vita
Michael Žantovský, 
La nave di Teseo, 688 pp., 25 euro