L'uomo senza inverno

Flaminia Marinaro

La recensione del libro di Luigi La Rosa, Piemme, 448 pp., 18,50 euro

Quando Émile Zola riconobbe nel “garçon riche” dell’alta borghesia francese uno straordinario Gustave Caillebotte, il pittore era ancora relegato dalla maggior parte del pubblico e della critica al solo ruolo di mecenate. La posizione sociale ed economica della sua famiglia ne comprometteva pericolosamente l’immagine riducendolo a dilettante e capriccioso rampollo parigino. Un genio incompreso, Gustave, un animo tormentato, “schiacciato dalle aspettative inflessibili dei Caillebotte” e dalle sue pulsioni inconfessabili, tradito dai silenzi di sua madre e dagli sguardi eloquenti di Jerome, primo modello delle sue opere dalla cui “carne tesa e vibrante” si sentì attratto perdutamente. Caillebotte fu forse il primo pittore impressionista ad applicare alla pittura le regole della neonata scienza fotografica, catturando fotogrammi dall’alto, tratteggiando la suggestione del movimento e rendendo talmente vivi i personaggi da farli scivolare leggeri fin fuori dai bordi pittorici, come se stesse utilizzando un grandangolo. Un vero innovatore, oscurato dal velo sottile e bruciante del pregiudizio. E’ il 1863, data che simbolicamente dà il via al movimento impressionista e anno del Salon des Refusés.

 

La narrazione aulica e a tratti lirica di Luigi La Rosa comincia nel salotto di casa Caillebotte. I personaggi un po’ frivoli, un po’ severi, prendono il tè nell’atmosfera ovattata di un pomeriggio di maggio, parlano con sdegno di un dipinto scandaloso: “Le déjeneur sur l’herbe” di tale Édouard Manet. Il giovanissimo Gustave, nascosto dietro una porta, cerca di non perdere una sola parola di quella conversazione che scatena in lui un desiderio morboso di studiare quel quadro rivoluzionario per la composizione insolita e la modernità cromatica. E’ in quel momento che si fa strada in lui imperioso e inarrestabile il dovere di essere artista. Dipingere ormai è una necessità, tenuta nascosta allo sguardo impietoso dei genitori. Dalle passeggiate lungo il fiume ai quadri di una Parigi comme il faut, alle riunioni nei café con Monet, De Nittis, Degas e tutta la cerchia culturale del momento, l’autore riporta in vita una società elegante, evoluta e rétrO al contempo; oscilla tra la fiction, la biografia e il romanzo di formazione e qualunque sia la casella giusta, l’obiettivo di La Rosa è la ricostruzione di una memoria artistica piena.

 

Indaga la psicologia dell’uomo, della cui vita privata in realtà si sa ben poco. Punta l’obiettivo sugli indizi che il pittore ha lasciato nelle sue tele. La virilità che domina quasi tutti i quadri di Caillebotte, e l’attenzione alle disparità sociali che emergono dai particolari di abiti o atteggiamenti, rivela un costante interesse per la quotidianità che cerca di catturare come in un’istantanea.

 

La Rosa, messinese di nascita, ma come lui stesso ha dichiarato parigino di cuore e per vocazione, trascina il lettore in una dimensione verista e onirica contemporaneamente. In esergo, una citazione di Stéphane Mallarmé, “L’inverno, stagione dell’arte serena, il lucido inverno”, racchiude il senso di questo splendido racconto, cesellato, aggraziato e potente. 

 

Luigi La Rosa
L’uomo senza inverno
Piemme, 448 pp., 18,50 euro

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