Berlino città mediterranea. Il richiamo del Sud

Rinaldo Censi

Recensione del libro di Horst Bredekamp edito da Raffaello Cortina (155 pp., 18 euro)

In un appunto datato fine 1945, Alfred Döblin annota sul suo diario una testimonianza diretta della vita della popolazione tedesca sud-occidentale. La gente, scrive Döblin, cammina “per la strada in mezzo a rovine spaventose, proprio come se non fosse successo nulla e… la città avesse avuto sempre quell’aspetto”. Chiunque abbia letto Storia naturale della distruzione di W. G. Sebald riconoscerà questa breve annotazione. Uno dei punti cruciali del suo libro esamina proprio il rapporto tra il processo di ricostruzione e le devastazioni causate dal nemico. La ricostruzione sembra proiettare la cittadinanza verso un futuro che possa liquidare il trauma legato al passato recente. Senza però permettere alcuna elaborazione. Come se le nuove città nascessero in fondo dal nulla. Prendete ad esempio Berlino. Horst Bredekamp, nell’introduzione a questo suo Berlino città mediterranea, utilizza la medesima espressione, ma solo per testarla, per metterla alla prova nelle pagine che seguono. L’idea di una città che si sviluppi in una permanente creatio ab nihilo è certo seducente, eppure – ecco l’aspetto davvero affascinante del saggio – Berlino mostra tracce architettoniche del suo passato, permettendo allo studioso di procedere a una sorta di anamnesi urbanistica, cogliendo un doppio movimento che, a partire dal Medioevo, conduce la città all’èra moderna ricorrendo a tradizioni mediterranee, unite ad anticipazioni formali legate alla cultura industriale e urbanistica. Un esempio? L’area della Kaiser Wilhelm Gedächtniskirche, compreso il suo ampliamento “italianizzante” progettato da Eiermann verso il 1965.

Da autorevole storico dell’arte, Bredekamp poggia il suo discorso basandosi su un corposo apparato di fonti – anche iconografiche – annettendo testi, fotografie aeree, dipinti, sculture, monete, piante della città. Tutto il libro muove dal desiderio di presentare le diverse influenze “mediterranee”, italiane e greche, nel tessuto architettonico della città. A partire dal famoso Castello che, dopo la sua fondazione nel 1443 a opera di Federico II “Dente di Ferro”, iniziò ad accogliere influssi esterni, giungendo a “italianizzarsi” nel 1688, grazie a Federico III, ponendo le basi per la prima radicale riorganizzazione dell’area. Non è forse un caso che l’italianizzazione del centro di Berlino avvenga “in parallelo alla costruzione di una biblioteca dedicata soprattutto allo studio dell’antichità”, scrive Bredekamp. Nel 1688, sono 90 mila i volumi resi accessibili. Il grande elettore Federico Guglielmo mirava allo splendore imperiale dell’antica Roma. Hitler farà altrettanto. Così, ci muoviamo lungo i secoli, isolando alcune strutture architettoniche. Ancora nel 1939, Albert Speer, architetto personale del Führer, poteva ispirarsi alla cupola del Duomo del Brunelleschi, a Firenze, per progettare la Grosse Halle. Ne resta solo il modello in gesso. 

  

Berlino città mediterranea. Il richiamo del Sud
Horst Bredekamp
Raffaello Cortina, 155 pp., 18 euro

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