La bella lingua
Il libro di Dianne Hales, Treccani, 303 pp., 20 euro
L’Italia, fuori dall’espressione geografica cui la ridusse Metternich, forse non esiste. C’è, però, la sua lingua, e tanto basta a fare italiani gli italiani. Carlo Azeglio Ciampi una volta ha detto che “l’italiano è la nostra prima patria”, e infatti la leggenda, che in tutto il Mediterraneo fa storia, lo fa nascere molto prima del paese, quasi tremila anni fa, quando Romolo fondò il villaggio da cui nacque Roma. Dianne Hales lo ricorda, sottolineandolo con un amore che noi nativi non sappiamo provare (viziati che siamo), nelle prime pagine di questo suo libro d’amore, in cui racconta cos’ha significato, per lei, americana, incontrare la nostra lingua, studiarla, impararla e, finalmente, parlarla, usarne la magia, scoprirne i prodigi e, insieme, l’impossibilità di controllarne gli effetti. Perché l’italiano è una lingua cialtrona, di spirito, ingannevole, mutevole, screziata, più povera di vocaboli (ne ha 200 mila) rispetto all’inglese (che ne ha 600 mila) ma più ricca di modi per allargarli o restringerli. E’ un bene, anzi un patrimonio, di cui dovremmo curare l’esportazione, anche se si esporta benissimo da solo: l’italiano è la quarta lingua più studiata al mondo, specie negli Stati Uniti. Il New York Times ha scritto non troppo tempo fa che è il nuovo francese. E Hales dice che, laggiù, lo parlano e lo studiano perché l’arte, la poesia, l’umanesimo, la lirica, la bellezza non si possono che dire in italiano. Le altre lingue raccontano, spiegano: sono un compendio. L’italiano fa di più: costruisce. Quello che secondo Hales si fa con un il nostro parlato, per noi si fa con il dialetto: quante volte diciamo che ci sono alcuni sapori, alcuni innamoramenti, alcune vertigini che solamente il dialetto sa dire e che, a volte, solo in dialetto esistono? Uno dei molti professori (di lingua, di storia, di Italia tutta intera) di cui Hales racconta nel suo libro, una volte le disse che l’italiano insegna “come vivere”.
Ed è stato ricorrendo all’italiano che “gli italiani hanno trasformato l’universo o almeno il concetto dell’uomo sull’universo e sul suo posto in esso”, cioè hanno ideato l’umanesimo. Senza quella lingua precisa, l’esaltazione delle potenzialità dell’uomo non avrebbe funzionato altrettanto, non si sarebbe fatta storia, filosofia, idea di mondo, desiderio, pulsione viva, contagio.
Una cosa che Baricco ha scritto spesso, parlando del Gattopardo, è che uno dei suoi meriti più importanti è di dimostrare quanto è bello l’italiano. Ha ragione. Sarebbe un principio critico giusto da adottare nella valutazione di un libro? Se ci chiedessimo come e quanto quello che leggiamo fa o non fa onore alla bellezza della lingua in cui è scritto, quanti autori salveremmo? Nessuno, verrebbe da dire. Una straniera, invece, forse, li salverebbe tutti, perché l’italiano è così bello da restare bello anche quando viene massacrato dagli scarsi. Sarà per questo che siamo un po’ tutti scrittori, quaggiù. Che fortuna che abbiamo. E che peso ha questa grazia.
Dianne Hales
Treccani, 303 pp., 20 euro
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